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LA MIA DROGA SI CHIAMA JULIE regia di Francois Truffaut

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JOKER1926     7 / 10  30/08/2012 03:24:30Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Dal celebre regista francese della "Nuova ondata" a finire degli anni sessanta (1969) prende conformazione ed essenza un film di risonanza, "La mia droga si chiama Julie".
Francois Truffaut è un regista che allega alle sue formidabili esposizioni visive anche un contenuto non indifferente. "Non indifferente" come nel frangente con "La mia droga si chiama Julie". In questo prodotto cinematografico il fulcro concettuale e dinamico naviga nel corpo, nell'anima, nelle sensazioni di un uomo ricco che cerca l'amore attraverso lettere, insomma cerca la donna della propria vita senza conoscerla (conoscenza per corrispondenza)…
Ad interpretare il ricco un buonissimo Jean Paul Belmondo, nella parte dell'ambigua e cinica Julie troviamo Catherine Deneuve. In pratica gli attori adoperati dalla regia sono in grado di dare al prodotto un qualcosa di veramente sostanzioso. Coppia affiatata. Gli altri attori svolgono (giustamente) funzioni satellite lasciando, doverosamente, lo spazio ai due amanti.
Su questa scia, a questo punto, da annoverare nella fattispecie tecnica anche la bellissima fotografia composta da colori vivissimi. Alcune sequenze, come quella del vestito in vetrina, sono una totale esplosione di colori, nel frangente il rosso, detta le regole di un gioco di colori che poggia, spesso e volentieri, su un irresistibile contrasto colorato. Lavoro incommensurabile.
A convincere anche tutte le ambientazioni e le atmosfere del film.

"La mia droga si chiama Julie" espone fin da subito, in effetti sin dal titolo, la sua concettualità. Truffaut mette in mostra una storia di amore "trasversale" ove le regole sono manipolate dalla mente impura di una donna che, a più riprese, cerca di sterminare economicamente il suo amato, suo marito.
La narrazione impiegata dal regista è dinamica e varia, certamente non complessa. Vien fuori un film non statico in cui il ritmo non è basso. Anche se questa ultima peculiarità forse non era quella primaria per la regia di Truffaut.
Le sequenze hanno grande organicità e pian piano il film si addensa di dinamiche quasi thriller da apprezzare sicuramente.

L'amore ai tempi delle nuove generazioni

Parlando della regia in considerazione alle volte, o meglio, quasi sempre, si collega il tutto alle Nouvelle Vague. Nelle caratteristiche di questi film, oltre il non sempre cronico "standard" tecnico, si registravano delle cose abbastanza precise. Questi erano, e sono, quei lavori cinematografici dediti completamente a rappresentare la generazione del tempo. Nell'ottica, nella condizione de "La mia droga si chiama Julie" i riflettori poggiano le luci su un pessimismo e su una freddezza criminale collimante nell'amore di un uomo per una donna.
"Amore" che vaga fra tante parole e fra tanti inesorabili bluff ove il pubblico, giustamente, è messo a dura prova. Si soffre insieme al protagonista. L'enfasi del progetto si nutre di splendore verso la fine (la scena in cui Belmondo non "rimpiange"), attraverso dialoghi di formidabile impatto traspare l'arte di amare estrema paragonabile, sotto delicati aspetti, a quella che chiedeva Marlon Brando alla sua amata ne "L'ultimo tango a Parigi". In entrambi i casi si parla di rapporti difficili da gestire…
La regia francese all'altezza della situazione.