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NYMPHOMANIAC - VOLUME 1 regia di Lars von Trier

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Invia una mail all'autore del commento tylerdurden73     5 / 10  17/10/2014 12:06:42Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
La metafora della pesca è perfetta nell'inquadrare il modo in cui Lars Von Trier ama attirare l'attenzione. Le esche sono posizionate con consumata sapienza, i pesciolini allegri e felici si buttano a frotte nella rete, incantati dagli sproloqui proferiti sul sacro suolo di Cannes (con graditissime, almeno dal regista, polemiche al seguito) e con la consapevolezza, una volta tanto, di poter soddisfare la fame voyeuristica visionando un porno senza essere tacciati di perversione.
Ebbene, gli amanti dell'hard in fremente attesa di numeri d'alta scuola pornografica resteranno delusi, questa versione censurata potrebbe far arrossire giusto una monaca di clausura. Lasciata da parte la mera immagine, analizzando i contenuti, ci si imbatte negli arcinoti malesseri del filmaker danese sempre pronto a dare la caccia ai suoi fantasmi, ad impugnare la macchina da presa come fosse dallo psicologo di fiducia.
La cosa comincia a diventare ossessiva ed imbarazzante; se in film come "Antichrist" o "Melancholia" l'autoreferenzialità e l'egotismo erano supportati da storie all'altezza qui si frana nella noia più assoluta, sbadigli come piovesse per un'opera suddivisa in cinque capitoli attraverso i quali viene narrato il percorso e la maturazione sessuale di una giovane ninfomane.
Tutto inizia con Joe pesta e sanguinante ritrovata in un vicolo da un uomo piuttosto erudito, questi la porta in casa sua, la accudisce e la rifocilla, dopo di che, senza emettere giudizi, ne apprende la storia. Joe è il regista, l'uomo (Stellan Skarsgard) siamo noi; Von Trier mostra l'ennesima presunzione, quella di autoassolversi, rendendo passivo/comprensivo l'atteggiamento dell'ascoltatore. La morale è semplice: il sesso utilizzato come emblema assoluto di ogni errore o anomalia, punto di rottura inaccettabile per una società in cui è spesso ancora visto come qualcosa di sbagliato, di impuro.
Nulla di nuovo, Von Trier è sempre il solito, insiste con il sottolineare l'estraneità al mondo femminile questa volta evitando toni da pessimismo cosmico ma rivelando una certa ironia di fondo che non guasta.
Si prende l'arrogante libertà di autocriticarsi per la serie di (improbabilissime) coincidenze in cui incappano la protagonista e Jerome, per poi assolversi ancora dichiarando chiara e forte la paternità del lavoro e quindi il controllo esclusivo su di esso.
Non fosse per la sublime tecnica registica e i compiaciuti rimandi alti (Poe, Fibonacci, Bach, ecc) "Nymphomaniac" sarebbe un filmetto pruriginoso e poco altro, una sorta di "Emmanuelle" 2.0 versione d'essai; resta il fatto che alla fine di impresso rimane pochino.
Sicuramente la bravura e la bellezza di Stacy Martin, quindi la performance breve ma di rara intensità regalataci da Uma Thurman, per finire la fenomenale scena in bianco e nero dell'ospedale dove nemmeno il sesso può beffare la vecchiaia e la morte.
Grande regista, grande stratega, questa volta vende fuffa ma -ammetto- resta ammirevole e mai scontato anche in questo.