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FANNY & ALEXANDER regia di Ingmar Bergman

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amterme63     10 / 10  24/04/2011 17:13:00Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Mi ha colpito prima di tutto per la bellezza visiva. Sono rimasto ammirato e rapito fin dai primi fotogrammi per la splendida, bellissima cura e resa di ogni dettaglio di ciò che viene mostrato. Soprattutto i colori e la luce sono resi in una maniera piena, intensa, poeticissima. I sensi estetici si sentono soddisfattissimi, come in preda ad una ebbrezza. Almeno io ho avuto questa sensazione molto forte fin dall'inizio.
Poi ci sono le scenografie (curatissime fin nei piccoli particolari) e le ambientazioni, infine la recitazione intensa, partecipata, molto sentita, da parte di splendidi attori. Veramente qui Bergman, come in nessun altro fim della sua lunga carriera, è riuscito a ricreare la ricchezza, la perfezione, la resa completa di un ambiente e delle persone che ci vivono. Già questo è sufficiente per fare di un film un capolavoro (è un lavoro immane e difficilissimo).
In questo contesto completo si muovono esseri umani completi. Bastano pochi tratti, qualche battuta, alcune inquadrature ed ecco che un personaggio è completamente inquadrato, espresso, spiegato fin nelle sue pieghe recondite.
Quello che prevale però è il punto di vista infantile, quello di Alexander. Tanto più che alla storia è stato dato formalmente quasi l'aspetto di una fiaba. Infatti, secondo me, non è altro che una fiaba declinata con gli schemi del nostro modo moderno di vedere. Quindi l'oggetto è realistico (dei fatti di vita cocreti) ed esistenzialistico (la posta in gioco sono gli affetti, la genuinità dell'animo, la libertà di sviluppare se stessi) ma lo svolgimento è in qualche modo fantastico e favolistico, dove a fronte di una situazione di partenza idilliaca, si arriva ad uno strappo, una disgrazia in cui si insinuano forze e presenze "altre", opposte, che cercano di appropriarsi e soggiogare chi è debole ed indifeso per poter imperare (quello che nelle fiabe è la strega, il male). Alla fine le forze del "bene" si accorgono dell'inganno, si riorganizzano e vincono, "punendo" crudelmente chi ha osato rovinare l'armonia.
Tutta la parte che segue la morte di Oskar sembra presa da "La morte corre sul fiume", con il vescovo Vergerus nei panni del falso pastore Robert Mitchum. Il personaggio interpretato (splendidamente) da Harriet Anderson si rifà apertamente alle fiabe dei Grimm, come pure tutte le storie fantasiose/reali raccontate da Alexander. Anche la parte cabbalistico-magica vuole rifarsi proprio a questa tradizione e quindi in qualche maniera celebrare il mondo infantile, la sua potenza immaginifica e inventiva.
Su tutti spicca il personaggio di Vergerus, forse la persona più cattiva, più diabolica e negativa mai creata in tutta la carriera cinematografica di Bergman.
Comunque, anche in questo film Bergman non rinuncia a trattare i suoi soliti temi (incomprensione, volatilità dell'amore, esaltazione dell'arte), ma tutto è come soffuso, ammorbidito dalla nostalgia e dalla celebrazione dell'umanità e dell'amicizia. Alcune battute ci fanno chiaramente capire che Bergman, arrivato alla fine della sua carriera, trova consolazione voltandosi indietro, ripensando all'epoca pre-tecnologica (la luce delle candele, la ricchezza estetica ed umana) e all'infanzia (i giochi creativi, il contatto diretto con gli oggetti e le persone).
Se c'è qualcosa che stona in questo film è forse il fatto che Alexander esprime concetti inappropriati nella bocca di un quattordicenne (età presunta). Si vede molto chiaramente (specie nel dialogo con Vergerus, la frase su Dìo) che in certi momenti al posto di Alexander c'è Bergman stesso, le sue rivendicazioni, quelle che avrebbe voluto dire e fare di fronte a suo padre.
Non c'è che dire, migliore rievocazione e migliore realizzazione del senso di nostalgia e di rivendicazione non ci poteva proprio essere. Capolavoro.