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IL CASO PARADINE regia di Alfred Hitchcock

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amterme63     7 / 10  05/12/2008 23:20:54Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Nonostante ci siano tutti gli elementi dei film di successo del maestro, questo film non riesce a portarli a grandi risultati. Il fatto è che gli elementi che catturano l’attenzione e avvincono lo spettatore sono un po’ troppo forzati, non risultano naturali e spontanei. C’è un contrastro stridente fra il comportamento dei personaggi e ciò che la storia riesce a farci capire della loro personalità. In altre parole i personaggi agiscono in maniera coinvolgente ma non coerente, chiara o comprensibile.
L’elemento trainante del film è uno dei più tipici: il personaggio centrale del film (la Signora Paradine – un’algida Alida Valli) è o non è colpevole? Il dubbio attanaglia non solo lo spettatore ma anche l’altro protagonista del film, l’avvocato Keane (il solito mediocre Gregory Peck). Nell’altalena dell’incertezza, del mistero, del detto-non detto o fatto intuire, sta tutto il succo e il fascino del film. La signora Paradine è un personaggio positivo o negativo? Senz’altro è un personaggio molto affascinante e misterioso, troppo misterioso, tanto che nemmeno lo spettatore riesce a farsi una ragione di ciò che veramente vuole o ha voluto.
L’avvocato Keane sembra una copia maschile di Rebecca come carattere: convenzionale, modesto ma voglioso di successo, cerimonioso, a volte così candido e ingenuo da sfiorare il ridicolo. Anche lui è vittima del solito amore a colpo di fulmine, scarsamente esplicabile. Stavolta però l’infatuazione rischia di portarlo alla distruzione. L’amore è visto in maniera “americana”, come qualcosa di torbido, pericoloso, che nasconde morbosità. Del resto si tratta di un film ambientato in Inghilterra ma dal contenuto tipicamente americano. Ad aumentare la componente morbosa del film contribuisce anche la figura del domestico Latour. Si tratta di un giovane dalla bellezza maledetta, un po’ luciferina, pieno di reticenze e misteri. Era il servitore personale del Colonnello Paradine, praticamente inseparabile dai tempi della guerra, aveva la camera da letto accanto a quella del padrone. Lui “non serviva mai le donne” come da sua orgogliosa ammissione ed era rimasto interiormente distrutto alla notizia del suo licenziamento, tanto da prenderlo come qualcosa di più di un semplice licenziamento. Sembra un uomo “normale” ma come allontanare l’ombra morbosa dell’omosessualità da questa vicenda?
Altro tema “americano” che viene tirato in ballo nel film è anche quello della giustizia e della natura della pena. La seconda parte del film è occupata dal processo con i suoi riti e colpi di scena che appassionavano molto all’epoca il pubblico. Hitchcock però introduce la figura del giudice impersonato da Laughton che getta una grave ombra sulla serietà, sulla competenza e disinteresse con cui viene amministrata la giustizia. Il sospetto è che spesso ci si faccia prendere la mano dai ruoli e che si goda del proprio potere a prescindere dalle conseguenze che può avere (come ad esempio una condanna a morte). In questo film c’è una delle prime appassionate prese di posizione contro la pena di morte, pronunciate dalla moglie del giudice: “C’è già la vita che pensa a fare del male e a far soffrire le persone, perché devono meritare anche la morte?”. Frase accolta con malcelato disprezzo e mostra di cinismo da parte del marito-giudice.
La conclusione del film è stavolta in tutto e per tutto quella tipica del film americano dell’epoca, con l’uscita di scena dei personaggi “maledetti” (ma così affascinanti) e con la vittoria dell’onestà, del retto amore e della speranza, nonostante i pericolosi sbandamenti, le ingenuità e gli errori.
A parte le incongruenze, le troppe zone d’ombra, i troppi dialoghi, anche in questo film c’è sempre la grande capacità di Hitchcock di catturare l’emozione e di ammaliare con scene di grandissimo effetto tecnico e artistico. Non c’è male quindi.