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PAURA IN PALCOSCENICO regia di Alfred Hitchcock

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amterme63     7 / 10  23/12/2008 22:44:11Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Non sempre Hitchcock è riuscito a fondere arte e divertimento. Qualche rara volta il divertimento ha preso il sopravvento sull’arte, come nel caso di “Paura in palcoscenico”. Raccontare la trama della storia è un’impresa, da quanti episodi di vario tipo ci sono: troppi e quasi tutti abbastanza inverosimili, quasi smaccatamente “ruffiani”, da quanto seguono il “desiderio” del pubblico di vedere i protagonisti fare certe determinate cose e le scene avere quel determinato esito.
Quando si vogliono complicare le storie inserendoci troppe coincidenze, ecco che perdono verosimiglianza e addirittura rischiano di infastidire da quanto sono prevedibili e superficiali.
A ciò si aggiunge l’eccessiva convenzionalità dei caratteri, privi di complicazioni etiche e psicologiche e che non fanno altro che ricalcare i cliché dell’epoca. Ecco quindi la maliarda raffinata, cinica, furba, pericolosa, molto simile alle dark ladies dei film noirs (peraltro recitata benissimo da un’affascinante Marlene Ditrich, omaggiata da primi piani flou dal solerte Hitchcock). Non poteva mancare l’uomo vittima di tale fascino diabolico, votato all’autodistruzione, come pure non manca la donna tipo “crocerossina”, perbene, capace, vispa, positiva. Meraviglia più che altro di questi caratteri la facilità con cui passano da amare a odiare, oppure come cambiano facilmente l’oggetto dei loro desideri. A volte basta uno sguardo per creare un nuovo grande amore, quello della vita.
Domina su tutto una collettiva e universale voglia di aiutare la persona che sta a cuore, a costo di infrangere i propri doveri e ricorrendo a mezzi di ogni genere. E’ questo un po’ il messaggio “buonista” del film. Per fortuna che ci si aiuta a vicenda e grazie a un pizzico di fortuna ecco che tutto alla fine si aggiusta. Quasi tutto; al termine dei film di Hitchcock c’è sempre come un’ombra, una tristezza che rimane, un commiserare la sorte degli sfortunati rimasti vittima dei loro crimini.
A rendere comunque godibile anche questo film è la classica ironia di Hitchcock, che qui viene profusa a piene mani. Fino ad ora è stato il suo film più divertente che abbia visto. Questo è il giusto contraltare all’inverosimiglianza e alla prevedibilità delle vicende: il fatto che non vengono prese sul serio, è tutto un gioco, un semplice e salutare divertimento.
Di tecnicamente rilevante c’è che per la prima volta si pone l’ipotesi che il flashback raccontato all’inizio del film con il resoconto dei fatti, possa essere anche non vero. Insomma, il dubbio e l’apparenza coinvolgono tutte le testimonianze, anche quelle che all’inizio sembrerebbero attendibili, perché raccontate in prima persona da un “protagonista”. Sembra quasi un eco del film Rashomon di Kurosawa.