caratteri piccoli caratteri medi caratteri grandi Chiudi finestra

QUANDO SEI NATO NON PUOI PIU' NASCONDERTI regia di Marco Tullio Giordana

Nascondi tutte le risposte
Visualizza tutte le risposte
Invia una mail all'autore del commento kowalsky     5 / 10  19/05/2005 11:27:24Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Il cinema italiano, ancora una volta...
se l'intenzione di Giordana nasce per farci riflettere sulla dimensione umana dell'immigrazione, sulla possibilità di superare le barriere - che esistono - e comprendere i nostri limiti, ok, ma cio' non giustifica nove minuti di applausi alla proiezione di Cannes
Per diversi motivi, il film è un'occasione sprecata. Perchè (1) non se ne puo' più di un Paese che insegue blandamente un'idealismo da salotto, che ammicca, ruffiano e un po' viscido, a raccontare delle miserie altrui, in vis progressista, lavandosi la propria coscienza e mettendo in campo il Nemico da combattere, che poi è il pensiero comune. Per dirla tutta, qui non dovrebbe essere in campo l' ideologia, sopratttutto quando un'uomo di sinistra come Giordana finisce per cadere nella stessa trappola da cui tenta pateticamente di divergere.
Parametri insostenibili: si racconta una Milano de Pulentun leghisti tutto barca a vela e superficie e poi, guardacaso, due sfruttatori senza scrupoli abbozzati come grottesche caricature sono - tanto per cambiare - napoletani, si invita lo spettatore a osservare dentro il dramma di migliaia di profughi e poi si impone un nuovo pregiudizio tipo "fareste dormire a casa vostro uno di loro rischiando di essere derubati e traditi"?
Giordana stavolta ha tentato di imitare il percorso di Amelio (2), dimenticando che il regista di Lamerica ha da sempre il dono raro (che è anche il suo limite) di un forte lirismo e di una misuratezza fuori dal comune. Purtroppo, l'ultimo Giordana perde il controllo (soprattutto nella seconda parte) arrivando ad esibire pretestuosamente la ritrovata coscienza dei genitori borghesi davanti al degrado umano che è entrato per caso nella loro vita - eh già italiani brava gente - e chi ci crede più? Quanto è patetico questo tentativo di depurazione. di redenzione aprioristica come se fosse "normale" che per la paura di perdere un figlio (Moretti docet) una coppia benestante sentisse il dovere di addottare degli sconosciuti. Guardiamoci in faccia e diciamo le cose come stanno: purtroppo - e lo dico con amarezza - questa nazione è così contraddittoria (3) che è difficile liberarsi dal senso di falsità che reclamano anche le buone intenzioni. Intenzioni che quasi quasi - da uomo di sinistra - mi fanno parteggiare per il nemico "perchè si riconosce", e a questo punto paradossalmente fa meno male, a noi, la Bossi-Fini dell'ambiguo pietismo incoraggiato in questo film. Troppo comodo poi usare l'esca del ragazzino (4) come ennesima e retorica rappresentazione della presunta Purezza generazionale, soprattutto se vive costantemente nella fabbrica del padre (col tarlo ereditario di domani) e quotidianamente resta un "privilegiato".
Giordana - in uno dei suoi film meno felici - rischia di far rimpiangere in questo modo la pesantezza didascalica di "Un delitto italiano" o il reducismo della minestrina sixties dei "cento passi", a due anni dalla memorabile giostra della memoria (che in quanto tale presenta molte pecche, ma certo non l'indiscussa creatività dei personaggi). Nel suo tentativo forse mancato di voler riscrivere la storia di ieri e di oggi - come in questo caso - mette in campo un'indubbia esperienza visiva ma fallisce quando non fa altro che esibire i clichè da cui vorrebbe ad ogni costo preservarsi.
E non se ne puo' più di film che citano l'Atalante di Vigo probabilmente il film meno visto più famoso della storia del cinema (5). Davvero, la prossima volta che faro' un tuffo in una piscina, mi guardero' bene da pensare a Jean Vigo, rischierei di guastarmi la giornata.
Pero' qualcosa indubbiamente funziona: abbastanza efficace la lunga (6)sequenza acquatica di Sandro - che poi nelle intenzioni del regista è l'aplomb temporale tra il vizio di vivere e la sopravvivenza (ah Moretti)...
Decisamente credibile la comunità di accoglienza - Lager (7) che pero' guardacaso diventa una ridente combriccola di speranze appena subentrano i genitori di Sandro, ma allora è vero che i ricchi riescono nella rara impresa di "far nascere fiori dal letame" (cfr. De Andrè), magnifica la ripresa dei sotterranei della stazione di Milano, dove almeno spazio per il condizionale non c'è, un passaggio nudo e crudo intervallato dal beffardo consenso di una canzonetta popolare (Ramazzotti, ahimè). Ma non mi basta: è un vero incubo il dramma che si consuma nella barca dei profughi quando, anzichè la terra promessa, arriva la scorta dell'acqua... Diamo vita morte e sepultura (in mare) agli affamati e troviamo la forza di aprire quella porta. Osserviamo quegli sguardi affaticati e sofferenti reclamare aiuto, ma poi torniamo alle nostre meschinità. In fondo è giusto così, e non è neanche colpa nostra (ma di chi?) In fondo esistono solo ladri ******* e napoletani furfanti, con buona pace di Bossi e dei suoi peacemakers padani... Come dargli torto? Questo gratuitismo involontario mi fa pensare - come nella discussione morale tra Sandro e suo padre sulla necessità di "comprendere" - che il nostro cinema aspira a cambiare le regole senza modificare alcunchè. I buoni presunti da una parte e i cattivi redenti dall'altra. Pensiamoci, e poi torniamo ad essere noi stessi