Pessima rivisitazione dell'opera di Koch "La cena", a partire dalla decisione di diluire l'unicità del luogo narrativo (che nel romanzo delimitava l'azione al solo contesto di una cena, imperniando la funzione dei personaggi unicamente in uno scontro dialettico) in una trama che nel suo incedere si compone solo di inutili preamboli, stereotipizzazioni assortite, con brusco ribaltamento dei ruoli che sa tanto di solita e rimasticata critica alla borghesia (ancora !).
Basti solo considerare l'episodio di partenza richiamato come caso di coscienza: un pirata della strada con tanto di figlio a bordo, scende per aggredire con un crick un malcapitato guidatore che, in tutta risposta, essendo un poliziotto, si difende sparandogli e uccidendolo. Fuor di metafora, è solo l'esempio di chi ha avuto il ben servito a seguito di una tentata aggressione da codice penale; difficilmente si potrebbe considerare "vittima" chi imbraccia un crick per spaccare la faccia a qualcuno incontrando però il suo destino. Di Matteo invece ne fa un caso morale: il figlio del "pirata" non si capisce come, rimane ferito al midollo spinale. Osservando la sequenza, che dire... un bel marameo alle leggi fisiche della balistica ! Ed ecco che entrano in scena i due protagonisti, fratelli serpenti, uno fa il medico che cura il bambino, presentato come personaggio dotato di grande etica e moralità, l'altro fa l'avvocato che difende il poliziotto che ha esploso il mortale colpo, presentatoci all'opposto come un cinico menefreghista. Dopo 40 minuti di scaramucce e continuo vorticare a vuoto, arriva l'episodio clou: i loro figli pestano a sangue una clochard. Come si comporteranno i loro genitori ?
Considerazione: se i dubbi e le incertezze sul come affrontare il fatto costituiscono il motore portante nel romanzo di Koch, nel film di Di Matteo, l'enorme enigma morale che coinvolge i genitori sul da farsi, denunciare i figli o no, occupa gli ultimi 20 minuti. Risolvendosi per altro in un finale ad effetto, l'ultima cartuccia che esibisce il limite di Di Matteo nel saper gestire e dirigere sin dall'inizio un dramma serrato da kammerspiel, optando invece per la soluzione più semplice, ovvero propinandoci una copia in carta carbone, male eseguita, de Il Capitale Umano ( che rispetto a I Nostri ragazzi pare un capolavoro da statuetta d'oro).
Tutta fuffa...