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DRUGSTORE COWBOY regia di Gus Van Sant

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ULTRAVIOLENCE78     8½ / 10  15/10/2008 10:15:05Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Non ha senso demonizzare la droga, se non si fa nel contempo un'analisi delle ragioni che inducono l'individuo a farne uso. Ecco G. Van Sant ha questa onestà intellettuale in "Drugstore cowboy", secondo lungometraggio della sua produzione. In esso la fuga dalla realtà non appare come un mero un capriccio, ma come il segno di una insofferenza per essa, per le pene e i dolori che la vita riserva quotidianamente e che possono diventare fardelli insostenibili. Alla luce di questo stato delle cose, ogni scelta individuale sfugge a qualsiasi tipo di giudizio. Bob alla fine decide di affrontare la vita disintossicandosi, la desidera ardentemente, e si aggrappa ad essa con tutte le forze quando viene ferito; al contrario Dianne sceglie di rimanere nella certezza della tossicodipendenza, dove ogni emozione e ogni effetto sono calcolati e preventivati, rifuggendo così dal "buio" dell'imprevedibilità esistenza, in cui non si sa mai cosa ti aspetta; mentre Nadine intraprende la via estrema: quella dell'abbandono delle armi e della rinuncia alla lotta in una vita, di cui si avverte intollerabilmente il peso dell'insensatezza. Tre scelte diverse, completamente divergenti ma, nel contesto nudo e crudo in cui Van Sant ce le presenta, sono tutte immuni a qualsiasi giudizio. In questo modo la prospettiva del regista non risulta parziale ma d'insieme: perché infatti limitarsi a mettere in luce gli effetti deleteri della droga, quando invece è proprio la vita ordinaria, di tutti i giorni, la negazione della vita? E ci si rende conto ancora di più dell'impossibilità di emettere sentenze di fronte all'immagine blasfema del prete tossicodipendente (interpretato da W. Burroughs), in cui la fede religiosa si unisce alla sua negazione rappresentata, appunto, dall'abbandono nella droga.

«E' colpa di questa vita fottuta, non sai mai cosa ti succederà dopo. Per questo che Nadine ha scelto la via più facile per uscirne, è per questo che Dianne vuole continuare. La maggior parte della gente non ha idea della sensazione che proverà tra cinque minuti, per un tossicomane invece è diverso: lui lo sa, gli basta leggere un'etichetta.»