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BENVENUTI A SARAJEVO regia di Michael Winterbottom

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kafka62     6½ / 10  11/03/2018 12:24:06Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Regista estremamente eclettico, dopo aver attraversato con disinvoltura il romanzo ottocentesco e il free cinema versione anni 90, Winterbottom ha scelto di misurarsi con il film politico di taglio documentaristico, quello, tanto per intenderci, che Oliver Stone aveva frequentato ai suoi esordi (non a caso il film rimanda, anche nella struttura narrativa, a "Salvador"). L'impresa è rischiosissima, perché mescolare drammi individuali e drammi collettivi porta facilmente a superare i confini dell'enfasi retorica e della ridondanza emotiva. Winterbottom non tenta però, volutamente, di scansare queste trappole, confidando nella sua indubbia onestà di intenti e nel suo stile secco e incalzante come quello dei reportage televisivi che egli utilizza in abbondanza.
Accompagnato da una colonna sonora rock splendida e molto occidentale (che va da Van Morrison ai Blur e ai Rolling Stones), "Benvenuti a Sarajevo" ha un andamento sincopato, usa la macchina a mano e un montaggio frenetico mentre attraversa di corsa, come i suoi abitanti, le strade di Sarajevo (tra l'altro è stato il primo film di guerra ad essere girato nella città bosniaca dopo la fine della guerra), ma rallenta il ritmo, soffermandosi con attonito e non si sa quanto ingenuo stupore di fronte agli orrori delle stragi, ricostruite meticolosamente in base al principio, discutibile forse ma dilagante ormai nei media, della intrinseca moralità dello sguardo documentaristico della cinepresa. Va detto comunque che, pur con alcuni evidenti limiti e contraddizioni, la prima parte, tesa ed emozionante (con alcune sequenze da ricordare, come quella della bambina che, scoperto di essere diventata orfana, si allontana mestamente con il suo fagottino sotto il braccio), è nettamente migliore (anche perché mette a nudo con un montaggio ejzensteiniano le responsabilità politiche dei leader occidentali) rispetto al secondo tempo, il quale invece, col protagonista che, come De Niro ne "Il cacciatore" ritorna a Sarajevo, si sfilaccia e fatica a ritrovare le giuste motivazioni e cadenze, anche perché il melodramma rischia di prevalere sul dramma e non basta Albinoni (peraltro già saccheggiato dal cinema) a sollevare un finale (il concerto per la pace sulla collina della città) gonfio di un retorico umanitarismo.