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BIRDMAN regia di Alejandro Gonzalez Inarritu

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Invia una mail all'autore del commento LukeMC67     9½ / 10  11/02/2015 03:06:56Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
AVVERTENZA: SPOILER ESPLICITI

Un po' "Arizona Dreams" di Kusturica, un po' "Shining" di Kubrick, un po' "Big Fish" di Burton, un po' "La nuit américaine" di Truffaut, molto "Synedoche" di Kaufman, "Maps to the star" di Cronenberg, "America oggi" di Altman e naturalmente "Nodo alla gola" di Hitchcock, questa ultima genialata di Iñarritu trasforma un soggetto ampiamente portato su palcoscenici e set cinematografici (il rapporto finzione-realtà, personaggi-persone nella creazione artistica con particolare riferimento al ruolo degli attori e del regista nonché il rapporto tra "opera d'arte" e "blockbuster" o narrazione popolare) in un trionfo registico virtuosistico al limite della perfezione arricchendolo di considerazioni molto moderne che lo rendono davvero interessante e originale.

Un attore che negli anni Novanta aveva raggiunto l'apice del suo successo grazie a una serie di blockbuster hollywoodiani fantasy (i "Birdman" del titolo), si ritrova vent'anni dopo irrimediabilmente invecchiato ma soprattutto desideroso di un riconoscimento artistico maggiore; eccolo dunque investire tutti i suoi averi nella messa in scena in teatro di una pièce di Carver che lo vede nel quadruplo ruolo di soggettista-adattatore, produttore, regista e co-protagonista.
Come un novello Bela Lugosi, però, il nostro s'è identificato talmente nel suo personaggio d'antan, da credere di essere davvero Birdman, o almeno che una parte di sé lo sia, al punto non solo di sentirne la voce e di vederlo, ma addirittura di provocare fenomeni paranormali di telecinesi. A questo punto tutta la vicenda che ruota intorno alla preparazione e allo svolgimento effettivo della prima assume connotati surreali e iperrealistici allo stesso tempo, abbandonandoci ai deliri del protagonista e di tutti coloro che gli ruotano intorno.
La parte più interessante è il rapporto con la figlia: se il padre rincorre la fama "vecchia maniera" (l'onnipotenza della star del blockbuster hollywoodiano), la figlia gli sbatte in faccia la microfama, ovvero il numero di "like", "condivisioni" e "retweet" (aizzati e conditi dalle immancabili e intramontabili apparizioni televisive su telegiornali e trasmissioni "people") che riesce ad ottenere in tempo reale su web. Che poi altro non è se non la versione popolare della fama e delle sue conseguenze una volta riservate alle sole star come lui e oggi alla portata di tutti.
Per ottenere la sua consacrazione (in realtà il suo "quarto d'ora di celebrità"), spinto dall'esuberanza assoluta del suo nuovo co-primo attore e da eventi reali più o meno banali, moltiplica suo malgrado le varianti al gran finale della pièce arrivando persino a sfiorare il suicidio reale sul palcoscenico: questa brutale irruzione della realtà nella finzione assicurerà il successo totale dello spettacolo ma contemporaneamente provocherà la sua dipartita (per dove?).

Caustico sia con lo star-system che con mass-media e "addetti ai lavori" per la loro presunzione di "demiurghi" di realtà e persone che mettono in scena o che criticano, Iñarritu non risparmia frecciate velenose anche (soprattutto?) al pubblico "medio", reo di essersi abbandonato agli stessi meccanismi narcisistici che dilaniano le sue star preferite non appena ha avuto a disposizione i mezzi per poterlo fare (i social network). Con la conseguenza imprevista che l'irrealtà schizofrenica dei nostri ego infantili(zzati) ha fatto irruzione nella vita reale rendendola pericolosissimamente surreale, autistica e distopica (memorabile la sequenza del tentato suicidio del protagonista sui tetti del teatro newyorkese dove una massaia gli chiede urlando seccata se stava facendo sul serio o se stavano girando un film, oppure la sequenza in cui "Birdman" rimane bloccato all'esterno del teatro in mutande costringendolo a un rientro in scena dalla parte del pubblico, cioè dalla sala, ampiamente filmato e "postato" sulla Rete).

In questa continua confusione reale che fa impallidire il Pirandello del "Giuoco delle parti" e dei "Sei personaggi in cerca d'autore" non c'è spazio per alcuna meraviglia e i momenti di autenticità sono possibili solo giocando, drogandosi o… fingendo: emblematico il rapporto tra la figlia del protagonista e il suo attore co-protagonista, esplicitato da dialoghi puntuti e inequivocabili e da situazioni reali che vengono troncate sempre da ciò che accade -o sta per accadere- in scena, cioè nella finzione (ma occhio: succede sempre regolarmente anche l'esatto contrario, a ben guardare!).
Questo ardito gioco metalinguistico è sorretto da una realizzazione tecnica mozzafiato: il film sembra girato in un unico piano-sequenza (davvero superlativo il montaggio di Douglas Crise) il cui punto di vista vorrebbe essere il nostro (da urlo la fotografia di Emmanuel Lubezki), gli effetti digitali impazzano facendo sembrare naturalissime situazioni più che oniriche, gli effetti sonori sono curati meticolosamente, le prove attoriali semplicemente perfette: il polso di Iñarritu è fermissimo.
Menzione a parte merita la straordinaria colonna sonora di Antonio Sanchez che contrappunta l'intera pellicola (salvo rare incursioni di musica classica) con una forsennata batteria jazz usata tanto in "off" che in un'originalissima maniera diegetica fin dai notevoli titoli di testa e di coda che graficamente anticipano e chiudono la frammentazione psicologica dei vari personaggi e in particolare dei protagonisti. Suggerendo la chiave di lettura del film nella citazione iniziale della pièce di Carver: "E hai ottenuto quello che volevi da questa vita, nonostante tutto? Sì. E cosa volevi? Potermi dire amato, sentirmi amato sulla terra". Problema: che succede quando si confonde l'ammirazione e il riconoscimento esteriore con l'amore?