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IL SILENZIO TRA DUE PENSIERI regia di Babak Payami

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Invia una mail all'autore del commento kowalsky     8 / 10  20/07/2005 01:55:29Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
C'è una sequenza irripetibile, dove una donna, dopo un pellegrinaggio insolitamente vitale per quanto rigoroso, cerca una via di fuga dai suoi prigionieri, si trova su un'altura ai piedi di un colle e guarda osserva lontano: non vede che terra arida, un cosmo infinito come il pianeta Marte, e sente su di sè tutta l'impotenza di una libertà impossibile. Tutto è grande esteso e illimitato in Iran, ma "il cerchio" si chiude, tangibilmente. Immagini che sembrano uscite appunto da un film di fantascienza, dove la madre-terra offre all'uomo l'oscura tensione di un magma universale, e paradossalmente ristretto e circuito alla propria, dannata identità.

La contraddizione regna sovrana: da spettatori, l'esperienza è ora rilassante ora claustofobica, anacronistica e tuttavia tremendamente attuale.

"Quale destino stiamo seguendo?" si chiede il regista. Forse quello dell'uomo davanti a cui valori quali lealtà appartenenza rispetto e (in)giustizia sembrano privarlo di tutto l'amore che sempre più gli manca, del suo desiderio irrazionale di "eseguire un ordine".

Forse di donne dai sentimenti occultati, con quegli occhi che cercano, cercano la via dell'oro che non c'è, o di contadini ostinati che dalla polvere bramano per un modesto raccolto

O ancora dei bambini, che sfidano l'adulto in una logica opportunista che, in un contesto tanto degradante e umile, farebbe ridere (o pensare)

E tutto questo è "il silenzio fra due pensieri" , bellissimo titolo che ancora una volta ci porta davanti quel senso di disagio che proviamo nei riguardi dell'Islam e della sua cultura. Il cinema iraniano sempre più metafisico o surrealista (gioca un ruolo non indifferente il montaggio approssimativo dopo la dura scure della censura locale) esprime immagini con la stessa aderenza affettiva di Kiarostami, ma in realtà mira a entrare sempre piu' nelle pieghe dei "corpi": volti che nel silenzio esprimono tutta una crisi d'identità e di appartenenza, o che in poche parole o attraverso la musica mimano una vita arcaica che vive in funzione del simbolismo universale della speranza (la magia) cfr. i semi della terra ognuno dei quali porta con sè la promessa di un desiderio da avverare.
Direi che l'esercizio stilistico di Payami che è un non-.stile (e proprio per questo suscita interesse) è ambivalente, perchè dal forte rispetto per le voci dei saggi noi non ravvisiamo subìto la parabola di una fede(ltà) agghiacciante, anzi forse ci incute timore e rispetto allo stesso tempo.

Per lo stesso motivo la fede si prosta a segno di comunanza festosa, oppure, nel difficile passaggio tra Oriente e Occidente, sembra uno dei tanti violenti passi biblici nel nome del bene e del male (il linciaggio, la lapidazione) Non c'è bisogno di scomodare Maometto per ritrovare in qualche scena tutta la frustazione di una fede (territoriale e successivamente universale) fraintesa, estinta, ingannata, ora dolcissima ora crudele.

Peccato che il doppiaggio sia sinceramente penoso: non è necessario forse esibire un accento klezmer ma di "siciliani" in Persia, che sembrano usciti da un romanzo di Cammilleri, io non avevo mai sentito parlare

Infine, il cinema, così com'è: ridotto alla sua natura scarna, alla proliferazione di un'immagine che è tutto elemento della terra e al tempo stesso qualcosa che va oltre la dimensione reale, almeno in apparenza, è come il post.rock dove tutto sembra riportarci indietro di secoli.

Non è il futuro, ma il presente che possiamo, maledizione, ancora vedere