kafka62 7½ / 10 11/03/2018 12:28:13 » Rispondi Come molti altri colleghi della sua generazione (vedi Johnny Depp, Gary Oldman, Steve Buscemi, ecc.), anche Vincent Gallo (apprezzato interprete, tra gli altri, di "Palookaville" e "Fratelli") si è cimentato dietro la macchina da presa. Con risultati, va detto subito, sorprendenti. Se lo stile deve molto all'avanguardia (montaggio ellittico, immagini ritagliate dentro l'inquadratura principale, macchina fissa anche a costo di far andare fuori fuoco o fuori centro gli attori che si muovono, rigido schematismo delle inquadrature, come quelle con i personaggi seduti intorno al tavolo e la cinepresa che ne inquadra sempre e solo tre da tutte le varie angolazioni), l'atmosfera del film e i suoi personaggi sono profondamente originali. In quella che sostanzialmente è una tragedia che evolve verso un favolistico happy end (schema narrativo già visto molte altre volte), Gallo inserisce improvvisi momenti di autentica poesia surreale (la canzone anni cinquanta intonata dal padre, il tip tap della ragazza al suono della musica dei King Crimson, l'omicidio-suicidio da pop art nel locale a luci rosse), che squarciano la desolata disperazione della vita reale e, facendo intravedere una dimensione "altra" rappresentata dal sogno e dall'immaginazione, determinano un costante anti-climax e un'atmosfera da straniamento beckettiano. Insomma, qui siamo, più che nei territori della nuova Hollywood, in quelli, assai più interessanti cinematograficamente, di un Wong Kar-Wai o di un Tsai Ming-liang, cioè di un cinema finto-minimalista, che in realtà esplora le vite degli esseri umani secondo personalissime prospettive esistenziali, capaci di fare affiorare dietro alle loro solitudini totali e al loro rattrappito rinchiudersi alla vita (esemplare la scena, ripresa dall'alto, dei due giovani innaturalmente sdraiati, l'uno al fianco dell'altra, sul letto) il più antico dei bisogni dell'uomo: l'amore.