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HO AFFITTATO UN KILLER regia di Aki Kaurismaki

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amterme63     7 / 10  22/07/2012 22:53:04Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
C'è chi come Bergman, che sviluppava i suoi temi preferiti ampliando l'aspetto teatrale, artistico e razionale delle sue opere (con molti dialoghi, primi piani, scenografie e ambientazioni che danno significato alla scena, ecc.), e chi invece come Kaurismaki che sceglie come sviluppo delle sue storie sulla solitudine, l'estraneità e l'incomunicabilità, la forma postmoderna del rimando al patrimonio iconico della tradizione ludica cinematografica.
Mentre Bergman sceglieva di andare in profondità, restringendo e analizzando, Kaurismaki cerca di diffonde e applicare il suo "modello" al resto del mondo e a tutte le forme di comunicazione intrattenitiva (nel postmoderno conoscenza e divertimento coincidono).
"La fiammiferaia" è stato probabilmente un punto di non ritorno. Difficilmente si riesce a essere più dimostrativi ed espressivi nella propria rappresentazione di un certo modo di vivere negativo, che si vuole anche proporre come paradigmatico. Una volta appurato il triste destino umano, il vicolo cieco in cui si dibatte l'esistenza individuale, non resta che fare buon viso a cattivo gioco e tentare di sopravvivere comunque. Cosa meglio dell'ironia può scacciare le tristissime conclusioni e le conseguenze di una visione così cupa e nichilista della vita?
Insomma, Kaurismaki prima ci agghiaccia, poi ci invita a non farci caso, a sorridere e a divertirci anche con questa visione così pessimista e nichilista del mondo.
Nasce così quello strano miscuglio fra thriller, commedia, denuncia sociale, riflessione esistenziale che si chiama "Ho affittato un killer". Diciamo che l'operazione riesce. Il film infatti intrattiene, diverte, stuzzica la mania cinefila dello spettatore postmoderno, strizza l'occhiolino alle convenzioni classiche, ma poi nel finale ci regala momenti di riflessione esistenziale molto belli e che rimangono impressi.
Il cinema di Kaurismaki è un cinema molto autoreferenziale. Un suo singolo film non lo si può comprendere se non si sono già visti tutti gli altri. Il mutismo dei personaggi, le ambientazioni spoglie e degradate, gli incontri fatali e gli amori improvvisi sconcertano lo spettatore sprovveduto, mentre appaiono naturali e normali per uno che sa già con che cosa si ha a che fare.
Sembra che i film ambientati fuori dalla Finlandia spingano Aki Kaurismaki a lasciarsi andare, a stemperare il suo pessimismo e derogare al suo stile severo. Qui infatti c'è una trama, uno sviluppo narrativo, espedienti scenici che creano suspence, una storia d'amore, un finale quasi lieto, altro che l'accanimento contro il protagonista come nei confronti della povera Iris in "La fiammiferaia". In qualche caso la commistione con il classico giova al film, come ad esempio nel finale il tete-a-tete fra Henri e il killer: è la scena più bella del film, quella che unisce sorpresa, suspence con amarezza e profondità di pensieri. Certo "Ariel" era molto più profondo e umano, comunque "Ho affittato un killer" è uno dei film di Kaurismaki più "accessibili" e alla portata dello spettatore medio.