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COBRA VERDE regia di Werner Herzog

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ULTRAVIOLENCE78     7 / 10  06/05/2009 22:09:48Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Il progetto più ambizioso della produzione di Werner Herzog è un film imponente, maestoso, ma anche eccessivo, ridondante e, dal punto di vista narrativo, lacunoso. Pur ricorrendo tutti i “topoi” del cinema “herzoghiano”, “Cobra Verde” si presenta come un film frammentario e poco compatto, in cui quel fascino visionario, tipico delle opere del regista tedesco, è relegato soltanto a sporadici momenti. E’ debordante e “tracotante” come lo stesso attore, i cui numerosissimi primi piani ne rivelano una cifra recitativa che spesso e volentieri tende ad andare sopra le righe per imporre l’uomo-Kinski più che la dimensione psicologica del personaggio stesso (è risaputo che Kinski avesse osteggiato molto il lavoro di Herzog, dettando legge su vari fronti, persino nella scelta del direttore della fotografia). L’ambizione sfrenata dell’uomo, che in “Aguirre” e “Fitzcarraldo” è resa con un impatto e un’efficacia sorprendenti, qui si amplifica fino all’eccesso, deformando il personaggio più che informarlo alle intenzioni. Anche in “Cobra Verde” si assiste al declino dell’anti-eroe -“il più solitario tra i solitari”come pronuncia, all’esordio, il cantore- attanagliato dalla sua inveterata condizione di sfruttato-sfruttatore: quella schiavitù che, nella meticolosa messinscena, assurge a metaforica essenza dell’animo umano. La barbarie, perpetrata tanto dai popoli civilizzati quanto da quelli ancora incagliati a una dimensione tribale, è l’emblema dell’inclinazione alla sopraffazione radicata nel soggetto e della miseria della sua condizione, di cui lo stesso protagonista prende coscienza cogliendo la tristezza e la meschinità della propria esistenza, tanto da desiderare in cuor suo di “andar via di qui verso un altro mondo”, dove tutto è candido e puro come la neve. Ma questa fuga, almeno nella realtà, è impossibile: e tale impossibilità ci viene trasmessa con una delle scene più potenti della filmografia “herzoghiana”, che vale da sola la visione di tutto il film: quella finale, in cui viene rappresentato il senso di resa attraverso due eloquentissime immagini, nella quali il Destino irrevocabile e la Natura spietata fanno dell’uomo un martire impotente. (http://www.youtube.com/watch?v=AdOmH1SgZsc). Quella brama di fuggire dalla realtà e da se stessi è destinata a rimanere insoddisfatta: non resta che continuare ad esistere facendosi travolgere dagli eventi fino alla fine, così come verrà sopraffatto dalle onde Manoel Garcia da Silva, la cui ultima immagine che lo ritrae riverso e defunto sulla battigia pare richiamare quella iniziale dell’animale agonizzante, finito e sfinito dalla siccità.
La didascalia conclusiva (“Un giorno gli schiavi venderanno i loro padroni, e voleranno via liberi”), pertanto, non allude solo alla condizione dei neri, schiavizzati e torturati dal potente di turno -a prescindere dal colore della sua pelle; ma si estende anche alla dimensione interiore del protagonista: a quella cattiveria ingovernabile, che egli si è ritrovato dentro (infusa da chissà chi) come un male di inestirpabile e dalla quale soltanto la morte lo affrancherà. Egli è consapevole di questo male: lo percepisce e tocca con mano, ma non è capace di controllarlo ed, anzi, ne è del tutto sopraffatto. La tragedia di “Cobra Verde” si consuma proprio nell’impotenza del protagonista (alla quale fa da eco quella del “freak” che, silente, ne osserva la disfatta non essendogli possibile intervenire) che non può niente contro ciò che è nella propria natura e che annichilisce, irrimediabilmente, ragione e volontà. Ecco che quindi il tentativo di fuga finale s’infrange ineluttabilmente: non esistono “loci ameni” dove approdare, perché non è dato scappare da ciò da cui origina la propria sofferenza: se stessi.
ULTRAVIOLENCE78  04/12/2009 21:18:48Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Loci amOeni.