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CUORE DI VETRO regia di Werner Herzog

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jack_torrence     9 / 10  24/01/2012 16:22:00Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
La collocazione temporale dell'opera è indicativa. Siamo ancora ai primi dell'800. A un certo punto il "veggente" parla della città dalla torre di ferro, richiamo a Parigi culla della Rivoluzione. La torre non c'era ancora, ma nelle parole del veggente passato e futuro si fondono.
La società cristallizzata nel villaggio fuori dal tempo, proviene dalla profondità dei secoli. Nella sua immutabilità, è testimonianza di una civiltà immobile, incestuosamente ripiegata su se stessa. Paralizzata nel tempo, arresa alla sua terragna lontananza da ogni orizzonte.
E' anche una reminiscenza dell'infanzia di Herzog, trascorsa sui monti della Baviera nella lontananza dalla civiltà urbana, e dalla modernità.
Il vate, è il custode della nostalgia di ciò che sta oltre, al di là delle montagne e del tempo.

Il timor panico del nobile è quello di chi invece si sente tirato fuori dalla modernità, di chi ha sentore di esser divenuto anacronistico. La disperazione per essere rimasto senza la formula del vetro rubino è indizio della paura di non avere più presa sulla società. La rivoluzione industriale è iniziata, anche se non se ne ha che il presagio.
Mentre ancora nell'opificio del vetro si lavora solerti e operosi, nella decadente dimora nobiliare il tempo trascorre senza vita.
Nell'incendio sta la violenza di chi ha intuito la propria fine.

Su di un'isola ai confini del mondo, pochi indomiti decidono di partire alla volta dell'orizzonte, determinati a ridisegnare i confini dello scibile umano.
La tensione a superare i confini angusti dell'esistenza, non era ancora stata raffigurata da Herzog in modo tanto visionario - e collegata, come in questa allegoria, al destino della civiltà occidentale perennemente tesa a superare i propri limiti.
"Cuore di vetro" è l' "Odissea nello spazio" secondo Herzog.
Le isole Skellig di County Kerry, sono una location perfetta (e da me molto amata): rappresentano l'inospitalità del luogo estremo per eccellenza, una meta (finis terrae, non plus ultra) che l'immaginazione e l'ambizione umana può convertire in un nuovo punto di partenza.