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LA SCELTA (2015) regia di Michele Placido

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Invia una mail all'autore del commento LukeMC67     7 / 10  09/04/2015 01:50:03Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Massimo Recalcati ha dichiarato che si diventa genitori quando si è in grado di adottare i propri figli; è interessante e curioso dover notare che per dimostrare questo assioma Placido sia ricorso a un intelligente e acuto adattamento di una commedia teatrale di Pirandello: da un lato questo dimostra la perenne attualità dell'autore che forse più d'ogni altro ha saputo scavare nella psicologia più profonda del maschio mediterraneo (o forse di ogni maschio) e che ha saputo far emergere tutte le più profonde ambiguità del concetto di famiglia (e quindi di società) mediterraneamente inteso. Dall'altro ci racconta anche di quanto l'Italia non si sia evoluta molto rispetto alla sua epoca e con essa non si sia evoluta la concezione di famiglia (e quindi di società): non è un caso se il nostro sia forse l'unico Paese occidentale che si rifiuta caparbiamente di accettare qualsivoglia cambiamento della struttura familiare riconoscendolo pubblicamente, socialmente.

Ma il denso film di Placido non si ferma qui e va a mettere il dito in una piaga ancor più dolente: la violenza sessuale sulle donne e le sue conseguenze familiari e sociali. Scegliendo un registro tutto mimico e fortemente corporeo, Placido riesce plasticamente a restituire tutta la dimensione interiore ed esteriore del dramma della violenza subìta, rendendo al meglio l'estrema complessità e ambiguità delle scelte che la coppia messa in scena si troverà a dover/voler fare.

Il massimo pregio del film è quello di descrivere tutta la fisicità dei sentimenti: è interessantissimo rilevare che almeno altri due film italiani contemporanei ricorrono a questa chiave di lettura spesso assente dal cinema nostrano, "Hungry hearts" (che condivide con "La scelta" l'autentica "ossessione per il materno" che caratterizza il Paese meno prolifico al mondo) e "Vergine giurata" (in cui invece c'è l'"ossessione" per l'amore inteso come contatto fisico-sessuale con l'altro/a, unico modo per compiere la propria dimensione di genere). Raoul Bova e Ambra Angiolini superano abbondantemente la prova regalandoci dei giochi di sguardi che restano davvero molto impressi. In particolare Ambra Angiolini restituisce in pieno tutto il dramma e il conflitto interiore che la violenza subìta scatena: la perenne rimozione dell'accaduto (necessaria per sopravvivere?) si scontra ogni istante con la necessità di fare i conti con le conseguenze fisiche di quanto successo; e, come se non bastasse, con le conseguenze sociali, familiari in primis. Ogni aspetto della complessa reazione della donna è messo in scena con profonda partecipazione dall'attrice, forse alla sua prova migliore in assoluto.
La stessa complessità non ha il personaggio di Bova, più "duale" nelle sue reazioni; ma non credo sia un limite dell'attore, bensì proprio della psicologia maschile: in fondo, noi maschietti non potremo mai capire cosa significa la maternità e solo da poco ci confrontiamo con le conseguenze di eventuali violenze su di noi. Alla fine per noi conta solo l'"integrità" (cioè la proprietà assoluta) del corpo e della mente di chi amiamo: non potendo controllare efficacemente la seconda, ci concentriamo (p)ossessivamente sul primo.

Molto ben delineato, nonostante sia di contorno, il personaggio interpretato dallo stesso regista: anche qui, con poche battute e molti sguardi, il Maresciallo inscenato da Placido appare non solo credibile ma profondamente umano.

Restano però alcuni difetti non di poco conto a questa pellicola: anzitutto il manierismo della regia che spesso deborda e strafà, grave difetto se teniamo conto della scelta di Placido di giocare su un registro profondamente intimista. L'ottima fotografia di Arnaldo Catinari segue questo manierismo alternando inquadrature fisse o in fast-motion mozzafiato (ancora una volta location pugliesi magnifiche) a concitati quanto complessi, difficili e affascinanti movimenti di camera. La musica, protagonista diegetica ed extradiegetica del film, mi è risultata piuttosto debordante: qualche silenzio in più avrebbe giovato senz'altro a risaltare la dimensione intimista dell'opera.

E una parola per le numerose citazioni pubblicitarie presenti nel film: comprendiamo perfettamente quanto sia difficile produrre una pellicola di qualità oggi in Italia; tuttavia una presenza più discreta degli sponsor (specie quando sono tanti, come in questo caso) si sarebbe dovuta imporre: il risultato è talmente forzato da infastidire, invece che suggerire i marchi coinvolti…

Nel complesso, comunque, un'operazione ardìta ma sostanzialmente riuscita, quella di Placido, il cui merito principale sta nell'aver saputo descrivere quasi perfettamente la solitudine della donna di fronte al suo corpo, specie quando su di esso infieriscono la violenza fisica e quella psicologica di chi non potrà mai capire cosa prova: gli uomini coinvolti sentimentalmente e sessualmente, ma anche quelle donne "omologate" nel loro non aver mai subìto violenze brutali; o magari di aver subìto la "sola" violenza quotidiana del ruolo sociale loro imposto e poi definitivamente introiettato e perpetuato. Ma se quelli di Placido sono davvero la donna, l'uomo, la famiglia e la società italiana del 2015, c'è da star ben poco allegri.