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KING KONG (1933) regia di Merian C. Cooper, Ernest B. Schoedsack

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Dom Cobb     8 / 10  27/04/2018 18:12:11Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Una troupe cinematografica, capitanata da un ambizioso regista desideroso di far cassa, si imbarca verso una destinazione ignota per effettuare le riprese; tale destinazione si rivelerà essere la leggendaria Isola del Teschio, dove si mormora esista una misteriosa e terrificante creatura venerata dagli indigeni locali...
Caposaldo del cinema d'avventura ai tempi dell'avvento del sonoro, King Kong si dimostra tutt'oggi come il fondatore di uno dei più popolari miti moderni, pioniere dell'uso di effetti speciali all'epoca davvero rivoluzionari e, da un punto di vista puramente storico, come primo esempio di film ad utilizzare una colonna sonora composta appositamente per l'occasione, in questo caso farina del sacco di uno dei padri fondatori di quest'arte, Max Steiner. Ancora oggi si tratta di un film venerato, riverito e amato a dispetto della sua età.
Guardandolo con gli occhi di un neofita, non è difficile capire perché: è chiaro fin dall'inizio che l'intento dei registi Ernest Schoedsack e Merian C. Cooper (quest'ultimo autore della storia insieme ad Edgar Wallace) sia rifarsi a un certo tipo di letteratura dei decenni passati per evocare un senso di avventura senza troppe pretese. Dalle prime scene vengono messi in mostra quelli che sono stati gli stereotipi della struttura narrativa di quel genere di letteratura, che annoverava fra gli altri Edgar Rice Borroughs, Arthur Conan Doyle e Jules Verne,


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e l'escamotage funziona magnificamente: la trama fila via che è un piacere e i personaggi, pur essendo poco complessi di per sé, si fanno ricordare per i solidi stereotipi che sono, dal "capo" sicuro di sé e pronto a tutto pur di ottenere ciò che vuole (il regista), l'avventuriero burbero dal cuore d'oro, e ovviamente la donzella in pericolo; quest'ultima rappresenta comunque il lato debole del cast, relegata com'è, da un certo punto in poi, a pura e semplice fonte di strilli terrorizzati, figura figlia del suo tempo.
Tentativi di sviluppare delle tematiche interessanti da una premessa così intrigante vengono per lo più messi in disparte, ma in fondo non sono neanche tanto necessari: giusto nella parte finale, ambientata in città, ci si concede una stoccata contro le manie progressiste dell'uomo, nella cui società non vi è spazio per le incontrollabili bellezze della natura, e che pertanto devono essere eliminate ad ogni costo. Per il resto, il film si poggia totalmente sulla qualità dei suoi effetti speciali, che di fatto nella seconda parte diventano i veri protagonisti.
E' difficile descrivere a parole la magnificenza con cui le varie tecniche hanno retto all'usura del tempo: il merito va tutto a Willis O'Brien, mago dell'animazione a passo uno (o stop-motion) e mentore della futura leggenda del campo Ray Harryhausen, e alla sua squadra di lavoratori. Già in precedenza essi avevano dato sfoggio della loro abilità in film come "Il mondo perduto", raggiungendo degli standard encomiabili, ma qui si superano davvero. Fra modellini riposizionati fotogramma per fotogramma, modelli in scala su set dal vivo ed effetti di retroproiezione per unire il tutto, per un appassionato di effetti speciali vecchia scuola c'è da andare in brodo di giuggiole, e anche uno spettatore casuale non può non rimanerne quanto meno impressionato.
Certo, bisogna dire che, nella parte centrale, a forza di concentrarsi soltanto sullo spettacolo fine a sé stesso, paradossalmente il ritmo finisca per risentirne, rallentando un po' troppo e concedendosi qualche tempo morto, e dopo un po' le battaglie con i dinosauri e le varie creature dell'isola si fanno un po' ripetitive; ma gli effetti sono così convincenti e la maestria nella messinscena tali da renderlo un problema di importanza marginale.
L'unico aspetto veramente datato della pellicola, anche se non brutto di per sé, è proprio la colonna sonora: Max Steiner avrà modo di distinguersi in seguito per altri suoi lavori altrettanto importanti, ma il suo lavoro qui, sebbene contenga elementi che diventeranno la base delle colonne sonore moderne, è più chiassoso che altro, e non molto interessante da ascoltare.
Però si tratta di difettucci: anche se possono inficiare relativamente il godimento della visione, non diminuiscono la qualità di quello che è, a tutti gli effetti, una gemma nel suo genere, e un cult assoluto.


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