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MONSIEUR VERDOUX regia di Charles Chaplin

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Brundle-fly     9½ / 10  11/12/2008 20:40:56Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
L'INIZIO DELLA FINE (DELLE UTOPIE)

Monsieur Verdoux, ex cassiere di banca licenziato al momento della Grande Crisi, deve arrangiarsi per vivere. Così, per assicurare agiatezza alla propria famiglia, una moglie paralitica e un figlio, seduce, sposa, deruba e assassina donne ricche, mature e sole. Dapprima fa sparire (l'inceneritore di casa sua, alla periferia di Parigi, funziona a pieno ritmo emettendo un fumo denso e scuro) la bisbetica Thelma Couvais. A Marsiglia, dove si spaccia per un capitano di marina sposato all'ex ballerina Annabella Bonheur, i suoi tentativi di eliminare l'esuberante comare vanno a vuoto. Rientrato in famiglia, Verdoux riesce a farsi dare da un amico farmacista la ricetta d'un veleno e, ritornato a Parigi, decide di sperimentarlo su una cavia, una povera ragazza che ospita in casa propria. Commosso dall'infelicità della ragazza, decide di graziarla. Corteggia, invece, con imperturbabile cinismo, la ricchissima Marie Grosnay e la sposa. Al ricevimento di nozze una volgare risata gli segnala la presenza di Annabella. Deve fuggire. Passati alcuni anni ritrova per caso la bella vagabonda che un giorno graziò e che ora è una ricchissima amante d'un mercante d'armi. Mentre è in un locale in sua compagnia, è riconosciuto dai Couvais, i parenti della sua prima vittima, e viene arrestato. Al processo si difende: la sua dozzina di assassinii non è nulla in confronto alle carneficine perpetrate dai potenti. Poi affronta con dignità e senza pentimenti la ghigliottina.

Chaplin, Charles Spencer (1889-1977), è figlio di due sfortunati artisti del varietà. Il padre Charles, guitto del musical, muore alcolizzato nel 1894, lasciando a Londra la famiglia nell'indigenza più assoluta. La madre Hannah, ebrea, cantante di terz'ordine, malata di nervi, trascorre lunghi periodi d'internamento presso una casa di cura. Chaplin e il fratellastro Sidney, abbandonati a sé stessi nella miseria suburbana di Kennington Road, conoscono le precoci esperienze della fame, dei piccoli lavori saltuari, dell'orfanotrofio, della mendicità, con precari inserimenti nel mondo del musical di periferia come aspiranti acrobati, mimi, illusionisti. È il 1907 quando Sidney riesce a farsi ingaggiare nella famosa compagnia di Fred Karno e, dopo molte insistenze, fa assumere anche Chaplin. Con la troupe di Karno, Chaplin gira l'Inghilterra e impara tutti i trucchi della pantomima, le astuzie e le gag dell'attore comico, i giochi di prestigio del fantasista. Ed è sempre Karno a portarlo prima a Parigi e poi negli Stati Uniti. Qui Chaplin ottiene il suo primo successo nella parte dell'ubriaco (poi suo cavallo di battaglia), facendosi notare da Mack Sennett, che lo scrittura per la Keystone. È la fine del 1913. Ma gli bastano pochi mesi per trasformare la macchietta nella figura silhouette del vagabondo senza “causa”. La tipologia clownesca, il successo mondiale del donchisciottesco personaggio, l'anarchismo vitalistico di Charlot scompariranno solo sotto la maschera di “Monsieur Verdoux”. L'opera segna la conversione del personaggio Charlot a una forma consona ai tempi nuovi degli apocalittici disincanti novecenteschi. Ecco allora il paradossale ritratto di Verdoux, inizialmente ideato da Orson Welles sulla falsariga del caso Landru, nel quale la guittesca abilità di Charlot si ridisegna in una più sapiente e adulta ragnatela di movenze dolentemente satiriche e autoironiche. Il film denuncia la fretta con cui è stato realizzato e i pochi mezzi che ha richiesto (molte scenografie sono addirittura ricostruite sul set del ghetto di “The Great Dictator”). Ma il suo clamoroso fallimento commerciale non è tanto legato alla “povertà”, quanto alla scomparsa, ora davvero definitiva, del mito Charlot.
Monsieur Verdoux si apre sull'immagine d'una lapide, con la scritta: “Henry Verdoux 1880-1937”. Una voce fuori campo dice: “Permettete che mi presenti: Henry Verdoux”. È subito un linguaggio di morti, nulla di più adeguato al tono macabro-grottesco del film (tre anni più tardi Billy Wilder avrebbe ripreso l'espediente in “Viale del tramonto”, facendone raccontare la storia al cadavere di William Holden nella piscina, in un analogo flash-back). L'invenzione opera subito uno spostamento dal piano “realistico” del racconto, giustificando l'intera struttura paradossale del film. La tragicommedia, come l'ha definita lo stesso Chaplin, non gioca sulle sfumature, ma sugli approcci brutali, senza pudore, mediata soltanto dal filo continuo dell'ironia. Si pensi alla presentazione del protagonista: Verdoux sta tagliando dei fiori con espressione dolce, in un bel giardino; la camera fa una panoramica verso sinistra fino a inquadrare un camino da cui escono volute di fumo nero. Il film non ci ha ancora detto nulla di Verdoux, ma quel fumo racchiude già tutte le azioni e il carattere del personaggio. Il quale è del resto costruito per accumulazione progressiva di momenti a connotazione opposta ma complementari: le telefonate d'affari, l'uccisione della moglie Lidia, la presentazione della moglie paralitica e via dicendo. La contrapposizione, giocata sui toni d'una noncurante casualità, è rigorosa: ogni momento nega e al tempo stesso arricchisce il precedente.
Al mattino, dopo avere ucciso la moglie Lidia, Verdoux apparecchia per due, con la felicità di chi va incontro a una giornata piena di sole; poi, di colpo, si ricorda e, senza che i suoi gesti manifestino la minima frattura, toglie un coperto. Tutto ciò che c'è di nefando nel suo comportamento non viene mai mostrato ma semplicemente alluso. Quello che viene mostrato è solo la sua esteriorità, la sua faccia sociale. Come quando rimprovera il figlio: “Non tirare la coda al gatto. C'è un po' di crudeltà in te. Non so da chi hai preso”, e subito dopo ammonisce: “La violenza genera violenza”. Il ritratto che ne esce è dunque in grado di recuperare tutte le sue apparenti contraddizioni.
Monsieur Verdoux attua una riflessione critica sulle illusioni umanitarie del passato e, in particolare, una risposta all'appello agli uomini, la più amara possibile. Durante il processo, il pubblico ministero addita Verdoux alla giuria come “un crudele, un cinico mostro”, e lui si guarda attorno per vedere di chi stia parlando. Solo la perdita degli ideali ha stravolto questa normalità. La dichiarazione conclusiva (“Il crimine non paga se condotto su piccola scala. Un omicidio è delinquenza, un milione è eroismo”) è introdotta da frequenti sottintese anticipazioni. “Ti sento come disperato di dentro”, gli dice la moglie. “È un'epoca disperata questa”, lui risponde. E più tardi: “Questo secolo: un precipitato di velocità e confusione”. Sintomatico in questo senso è il rapporto che Verdoux ha con la ragazza di strada che invita a casa per fare su di lei un esperimento che dovrebbe ucciderla. “Con un po' di bontà il mondo sarebbe tanto bello”, dice lei (e il desiderio di ucciderla, o meglio la necessità logica di ucciderla, diventa allora, per Chaplin, la liberazione dalle effusioni del passato, l'uccisione stessa di Charlot). Molti anni dopo è la ragazza stessa a invitarlo a “rifarsi una vita”. La risposta di Verdoux è che “la disperazione è un narcotico”. Al che lei conclude: “La vita è oltre la ragione”. Ma il “cuore” di lei (“un mattino di primavera, una notte d'estate, la musica, l'arte, l'amore”) può sopravvivere solo grazie a un fabbricante di munizioni.
Ciò che colpisce in modo immediato del finale è la serenità con cui Chaplin si distacca, lasciandolo al suo destino, da Verdoux: “l'atroce polemica del Verdoux è espressa in modo tutt'altro che violento: mai ci fu un pamphlet più socratico, più triste e quasi crepuscolare” (Fink). Prima dell'esecuzione, Verdoux accetta di bere il rum che gli viene offerto, visto che non l'ha mai assaggiato.
Piano americano: dopo che ha deposto il bicchiere, gli legano le mani dietro la schiena. La porta si apre davanti a lui, la luce del giorno lo illumina; egli respira con voluttà l'aria fresca. Gli inservienti del carcere escono. Verdoux rimane solo con una guardia. Poi anche loro s'incamminano.
Carrellata indietro: Verdoux esce dalla prigione in cortile. La camera lo segue in panoramica verso sinistra, mentre si allontana di spalle con un passo stanco e appena zoppicante. “Un breve secondo, un secondo folgorante che il cinema non dimenticherà mai: sul viso di Charlot passa la volontà di morire” (Bazin). L'esecuzione diventa l'atto culminante del rifiuto, cioè un suicidio. Ai suoi giudici lo stesso Verdoux dice: “Nell'atto di lasciare questa valle di lacrime, voglio dirvi soltanto: a ben rivederci. E presto”. Nel suo ripudio nichilista, Monsieur Verdoux si basa sul rigetto della vita in sé. Gioca sulla morte, cioè sull’antivitalismo come unica espressione possibile. È un circolo chiuso che si preclude alternative che non siano quelle di una sconfortata messa in discussione dell'esistente. “Forse quel che dà fastidio agli americani è il fatto che Monsieur Verdoux sia un piccolo-borghese, un impiegatuccio come tanti di loro, un povero diavolo con la famiglia da mantenere” (Chaplin).
La provocazione arriva a segno, anche se non in modo immediato. Nel 1952 Chaplin intraprende un viaggio per nave verso l'Inghilterra, insieme alla nuova moglie, Oona O'Neill, con cui resterà per tutta la vita (e anche questo matrimonio è oggetto di scandalo, poiché lei è tanto più giovane di lui). Durante il tragitto apprende d'essere stato sottoposto a inchiesta per filocomunismo dal Comitato per le Attività Antiamericane: se farà ritorno negli USA, sarà automaticamente tratto in arresto. Il viaggio si trasforma così in un addio definitivo. Si trasferisce con la famiglia in Inghilterra e poi, nel 1953, al Manoir de Ban nel villaggio di Corsier, presso Vevey, in Svizzera, dove ha vissuto fino alla morte.

Discussione proseguita su:
http://www.filmscoop.it/forum/search.asp?KW=Recensione+MONSIEUR+VERDOUX&SM=1&SI=TC&FM=0&OB=1

Mauro Lanari
Torok_Troll  15/09/2012 16:15:45Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Non aveva origini ebraiche!
Mauro@Lanari  28/02/2023 22:14:33Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Vero, la madre Hannah non era d'origini ebraiche/giudaiche. Ho sbagliato e ti ringrazio per avermelo fatto notare.