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SOUTHPAW - L'ULTIMA SFIDA regia di Antoine Fuqua

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Jolly Roger     7½ / 10  27/01/2016 01:51:26Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Buon film, che avrebbe potuto essere molto potente, ma che non ha però saputo sviluppare tutti i suoi punti di forza.
Sicuramente la realizzazione è uno degli aspetti più positivi. La produzione, la scenografia, gli ambienti, la fotografia, tutto risulta molto ben confezionato.
La recitazione è l'altra punta di diamante. Jake Gyllenhaal regala un'interpretazione straordinaria: riesce a rappresentare in modo ottimale tutte le sfaccettature del proprio personaggio, il campione di box Billy Hope, che nel corso del film attraversa una transizione molto significativa, sprofondando dal successo e da una vita invidiabile giù fino ad un completo fallimento umano, fino a toccare il fondo e lottare poi per un riscatto, una rinascita. Billy Hope è davvero un personaggio molto intenso e le sue emozioni sono umane e comprensibili a livello empatico: Impossibile non sentirlo profondamente vicino in tutto quello che fa, quando non riesce a trattenere la rabbia, quando si trova perduto, quando si aggrappa alla vita con i denti, quando ingoia l'orgoglio e trova le energie per combattere.
Molto brava, oltre che bellissima, Rachel McAdams – ben lontana da essere la bambolina di turno: qui risulta anch'ella molto intensa e credibile nella parte della moglie innamorata, ma anche molto preoccupata e sofferente a causa del mestiere del marito.
Infine, c'è l'allenatore Forest Whitaker, l'occhio "pigro" più penetrante del cinema, un attore una garanzia, anche lui in una parte che gli calza a pennello.

La storia, seppur semplicissima, è di quelle che coinvolgono, forse proprio a causa di questa sua semplicità (alcuni potrebbero dire banalità), o, meglio, per un aspetto simile, che potrebbe però sfuggire: è una storia molto comune.
Ovviamente dico "comune" intendendo con ciò al netto della boxe, dell'incontro per il titolo, della ricchezza e del successo. Al netto di queste cose, dico, è la pura e semplice storia di un uomo che perde la bussola della propria vita e si trova, da un giorno all'altro, distrutto e solo, costretto a ricominciare tutto da capo. Questa non è certamente una condizione poi così rara ed è comunque una deriva a cui tutti noi, sotto sotto, ogni tanto pensiamo, ovviamente con timore. Ma se realmente imboccassimo tale deriva, questo timore può, anzi deve, trasformarsi in speranza - quella stessa speranza che non a caso dà il cognome al campione, HOPE.

Southpaw mi ha emozionato. Se si mette insieme una storia intensa e degli attori che ci credono, capaci di interpretarla e di mettere tutto quello che hanno, l'effetto è garantito. Tuttavia, non si può non tacere sul fatto che alcune cose proprio non funzionano.

-------------------presenti spoiler da qui in poi------------------------

Innanzitutto, la trama diventa confusa proprio nel punto cruciale, quello in cui avrebbe dovuto essere quanto più chiara possibile: la scena dell'omicidio della moglie di Billy.
Non si capisce nulla.
Un tizio spara a caso senza un motivo valido, il proiettile vagante colpisce la moglie, la pistola sparisce e la polizia brancola nel buio. La scena è molto confusa ma non è colpa della regia, bensì della sceneggiatura, che è troppo debole e superficiale su questo punto. La vicenda subisce sviluppi fumosi: l'omicidio, lo sbadato assassino, il ruolo del pugile antagonista Miguel, le provocazioni tra bande rivali, la mafia della boxe…tuttavia si ha la sensazione che tutto sia lasciato cadere nel vuoto, perché il film non calca per niente la mano sull'aspetto della vendetta, che però è un elemento fondamentale se vuoi coinvolgere lo spettatore in una vicenda simile.
Lo spettatore, dopo l'omicidio della moglie, si aspetterebbe un Billy che si allena con la potenza di un Tirannosauro, uno il cui unico scopo nella vita è salire sul ring, sbranare il Nemico e brindare in mondovisione con il suo sangue.
Invece no.
Billy Hope è un bravo ragazzo.
Il suo riscatto esistenziale ha una connotazione esclusivamente positiva, politically correct: egli è motivato dal desiderio di riemergere nello sport che ama e soprattutto di riconquistare l'amore della figlia, piuttosto che dal desiderio di polverizzare il nemico...
Ma quanto era invece più umano, più comprensibile, più vicino a noi comuni mortali, il grande Balboa di "Rocky IV", che voleva salire sul ring soltanto per uccidere Ivan Drago?
No soldi, no titolo in gioco. Solo Vendetta.
Se Southpaw voleva davvero giocare soltanto sul dramma di un uomo che sprofonda nella disperazione per la morte della moglie, beh, potevano farla morire in altro modo. In un incidente, o a causa di una malattia incurabile.
Invece, l'introdurre nella trama un elemento così forte come l'omicidio della moglie, da parte della gang del pugile antagonista, genera l'aspettativa di una portata emotiva molto più forte (pregna di rabbia, odio, vendetta) rispetto a quella che poi la vicenda manifesta nei fatti.
Si resta appesi, da un film che è troppo sbilanciato sulla figura del protagonista buono – e persino troppo sbilanciato sul fatto stesso che è buono. Ne risente, dall'altro lato, anche la figura del "cattivo", che non è costruita in modo efficace, è smorzata, poco convincente, insipida, poco odiosa. Questo Miguel, più che atterrire, irrita. E' un nerd fattone.
Un piacione antipatico.

Tutti i film della saga di Rocky hanno una visione decisamente manichea della realtà: il bene contro il male, il pugile buono che uccide il Drago cattivo.
Qui, nulla di tutto ciò. Tutto è appiattito sul Buono, che combatte più che altro contro sé stesso che non contro l'avversario.
Eppure, la contraddizione sta proprio nel fatto nel fatto che Southpaw ha una struttura narrativa similissima ad un qualsiasi Rocky: 1) un avversario cattivo 2) un evento negativo, la sconfitta dei "buoni" 3) un allenamento "naturale", diciamo alla vecchia maniera 4) la grande rivincita finale.
Specialmente poi se pensiamo alla fase di riabilitazione di Billy, quando cerca lavoro nella palestra e si adatta a fare l'aiutante, sembra in tutto e per tutto quel "Rocky 2", proprio quello che, dopo aver legnato per 15 round il campione del mondo Apollo Creed, tornò nella vecchia palestra del vecchio Mickey per fare l'inserviente, per raccogliere in un secchio gli sputi degli altri pugili.
La scala della palestra!
Praticamente è identica a quella dove Rocky venne malamente allontanato da Mickey, perché quest'ultimo non lo considerava capace di sostenere una rivincita con Apollo, a cause dell'occhio, ormai compromesso dalle botte ricevute.
Quella scala è uguale.
Stretta uguale, buia uguale. Malandata e triste, ma allo stesso tempo carica di fascino, di grandezza: essa è l'inizio della risalita, il punto di partenza per la riscossa.

Non puoi citare un film, peraltro una delle scene più intense di quel film, e poi beneficiare dell'esenzione dai paragoni. Southpaw è e resta un ottimo film, costruito e recitato benissimo, ma manca quel non so che…quella specie di pathos esasperato, che un film così dovrebbe avere. Quel pathos, forse un po' grossolano e puerile, che quando c'è fa un po' storcere il naso, ma quando manca lascia il brodo insapore.