amterme63 7½ / 10 28/07/2010 22:53:35 » Rispondi I film di Ferreri sono degli splendidi specchi che riflettono perfettamente lo spirito di un’epoca. Con “L’ultima donna” ci possiamo fare un’idea dei contrasti ideali, sociali e sentimentali che scuotevano i primi anni ’70, anni cruciali e di profondi mutamenti. A differenza dei film precedenti del regista, quest’opera ci propone anche dei personaggi molto approfonditi e vivi; ci fornisce inoltre molti spunti di riflessione diretta e solo nel finale utilizza la forma della provocazione intellettuale e dell’azione simbolica e “fatalistica”. In ogni caso lo schema classico dei film di Ferreri (presentazione – esposizione dettagliata – finale estremo) è comunque rispettato. La presentazione è veramente ben fatta. Con poche immagini abbiamo già il quadro tipico del mondo dei primi anni ’70: grandi industrie con asilo annesso, paesaggi grigi e anonimi, abitazioni-casermoni, giardini spelacchiati, i primi grandi centri commerciali. Anche il quadro sociale è ben esposto. Per la prima volta il protagonista non è più la borghesia, ma la nuova classe sociale emergente, cioè quella dei proletari emancipati. Sicuri di sé, sanno quello che vogliono e come ottenerlo. La tensione politica che si respirava a quei tempi è ben rappresentata dalle pattuglie della polizia e dai cani lupo abbaianti, in giro non si sa perché e non si sa per cosa (rende bene la tensione diffusa all’epoca). Come solito nei film di Ferreri, l’introduzione è brevissima e serve per dare l’ambientazione giusta alla storia. Il resto tratta la questione che sta più a cuore: l’irruzione della sessualità libera nel tessuto sociale, con tanto di crisi profonda dell’istituto del matrimonio e del ruolo dominante riservato al maschio. Il tutto aggravato dal fatto che i vecchi valori fondanti e dominanti abbattuti non vengono apparentemente sostituiti da alternative certe e durature. Regna incostrastata perciò l’incertezza e la precarietà. La stessa atmosfera che si respirava in “Nashville” di Altman. Contraddizione, incertezza, volubilità sono infatti la costante del rapporto amoroso fra Giovanni e Valeria. Il film ce lo propone nel suo svolgersi caotico e quasi casuale, fra alti di intesa sessuale e bassi di litigi, ripicche e dispetti. La novità rispetto ai film precedenti è il fatto che i caratteri vengono bene raccontati ed esposti in situazioni che una volta sarebbero state inconcepibili. La libertà assoluta domina i rapporti fra i sessi: si può stare insieme, fare figli senza obblighi e legami. La donna ora se ne può andare quando vuole, lasciare il figlio a chi vuole, legarsi ad altre donne. Giovanni è un ragazzo padre e si trova a gestire un bel bambino (alternando cure a sotterfugi per “liberarsene”). La sua fissa è però il sesso e il possesso del corpo femminile (quando non lo può avere si masturba). La sua ansia di possedere e in qualche maniera di dominare è un sentimento che lui si porta dietro dalla “vecchia” educazione e che le donne con cui si vuole legare rifiutano in nome del loro ruolo finalmente paritario. Valeria invece è un carattere più sfumato e incerto (un po’ come tutti i caratteri femminili di Ferreri) e oscilla fra voglia di sesso e voglia di affetto, rispetto e amore. Il sesso è comunque il vero protagonista del film. La sua versione neutra e naturale domina incontrastata in tutto il film e bisogna davvero dare atto a Ferreri della bravura immensa nel filmare nudi e rapporti sessuali privandoli di qualsiasi morbosità, rappresentandoli con grande spontaneità e naturalezza. Questo è uno dei primi film che ha presentato liberamente e diffusamente il nudo maschile e ha contribuito a rendere naturale la visione di un uomo nudo che gira tranquillamente per casa. E’ pieno comunque di bellissime scene in cui luci, inquadrature, scenografie creano dei quadri filmati molto belli e che rimangono impressi. Il film alla fine certifica il fallimento del sesso come unico mezzo di legame per una coppia. Cosa può riuscire a tenere insieme un uomo e una donna in maniera duratura? Il finale arriva inaspettato e sorprendente e secondo me stona con il resto del film. Infatti è l’unico atto inspiegato del film. Rappresenta qualcosa di puramente simbolico e indica idealmente il tramonto del dominio sessuale maschile sulla donna. Quell’aggeggio non “serve” più all’uomo per “dominare” una donna e di conseguenza la società. La fallocrazia è ormai finita … o almeno così sembrava in quegli anni.