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LA CORAZZATA POTEMKIN regia di Sergej M. Ejzenstejn

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Invia una mail all'autore del commento Giordano Biagio     10 / 10  06/08/2005 14:02:35Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Quest’opera di Eisenstein uscita nel 1925 è stata considerata nel 1949, da una giuria di critici in Svizzera, come il miglior film del secolo. Il film inaugura nella storia del cinema due capisaldi della lingua filmica. Una tecnica nuova di montaggio e la nascita di un’emozione d’insieme molto importante denominata pathos che il teatro aveva sempre avuto nella tragedia e il cinema no se non a tratti perché privo del linguaggio appropriato.
La tecnica nuova è finalizzata anche a dare velocità e spazi inediti all’azione, dopo un lavoro di ripresa fotografica da più punti dell’oggetto. Eisenstein filma 1320 inquadrature della durata minima di tre secondi. Il regista si avvale di una tecnica di sovrimpressioni e di accelerazione e decelerazione delle inquadrature. La variazione dei tempi delle inquadrature avviene a seconda delle necessità della scrittura. Ad esempio nella scena della scalinata di Odessa la progressiva velocità delle inquadrature dà una forma di realismo al film straordinaria. Un realismo che si fa pathos. Una scrittura il cui lessico attinge da tutte le arti visive presenti nelle culture (1). Essa è finalizzata soprattutto al pathos. Una tecnica che porta all’innovazione figurativa della trama cinematografica. A un dramma capace di commuovere come al teatro.
Un film quindi che riesce finalmente a pensare e a dire. A dire di più grazie ad una accurato studio delle possibilità linguistiche dell’immagine in movimento. Immagini che diventano con Eisenstein nello stesso tempo metafore e metonimie, vedi le scene dei fucilieri che sparano alla folla in fuga nella scalinata di Odessa. La macchina da presa si sofferma a lungo solo sugli stivali. Gli stivali diventano segno della presenza dei fucilieri e di una volontà zarista di repressione della rivolta. Immagini simbolo selezionate in una modalità linguistica bipolare che riesce a dare più vita alla riproduzione della realtà del film. Un’alta fedeltà al reale. Mai vista prima. Tale da trasmettere il senso più profondo degli eventi storici, la loro sezione più coinvolgente e mitica. Esempio di questo linguaggio è la statua del leone scolpita nella tragica scalinata di Odessa. Il leone passa da una posizione di riposo a una rialzata, pronto all’assalto. Un movimento di montaggio che allude alla reazione insurrezionale del popolo dopo le vessazioni del regime zarista. Un vero e proprio pensiero per immagini.
Il film è stato commissionato dal comitato centrale del partito comunista per la celebrazione del ventennale della rivolta del 1905 (che non è quella del 1917). La pellicola preventivata in un primo momento, studiata per contenere la molteplicità degli argomenti storici che doveva trattare, risultava troppo lunga.
Il regista finisce per concentrarsi solo su alcuni avvenimenti chiave di Odessa del 1905. Questa scelta gli consente di sviluppare meglio, con immagini-pensiero ben costruite lungo la nuova sintassi tecnica, tutto il simbolismo necessario al pathos. Un pathos che sia il regista che il regime auspicavano di riuscire a creare sia per ricordare meglio gli importanti avvenimenti sociali dell’epoca che per dimostrare la crescita dell’arte cinematografica sovietica. L’episodio principale del film riguarda l’ammutinamento della corazzata Potemkin avvenuto a seguito di una costata di carne avariata. Carne brulicante di vermi che il medico giudica commestibile perché secondo lui si erano semplicemente depositate sui tessuti delle larve di mosca morte. Larve facili da togliere con un bagno nell’acqua di mare. La Russia è in guerra con il Giappone. L’eco sociale che la rivolta suscita risulterà in seguito rovinoso per le istituzioni zariste del luogo. Eccezionali le riprese delle masse in movimento e della gestualità che scaturisce dalla solidarietà degli abitanti di Odessa ai marinai insorti. La ripresa della fiumana di folla che tributa un glorioso e ultimo saluto al cadavere del coraggioso marinaio ucciso non ha uguali nella storia del cinema. Il marinaio ucciso è stato il primo a ribellarsi al dispotismo del comandante. Queste scene sono una felice combinazione espressiva tra i singoli volti e le masse in quanto ciascun sguardo conferma coerentemente lo stato visivo di insieme della concitazione del movimento della gente. Le angolazioni di ripresa sembrano scaturire da una miriade infinita di punti di osservazione. La credibilità neorealista di queste riprese in bianco e nero è sorprendente. Unica.
Eisenstein costruisce in cinque episodi un’ineguagliabile e avvincente storia rivoluzionaria dilatando mostruosamente sia le possibilità espressive della lingua del cinema che le sue modalità di trasmissione del dramma.
Da sottolineare infine il gioco dei contrasti psicologici tra i marinai e le figure interclassiste della nave e quelle tra i rivoltosi e il prete ortodosso della corazzata. Contrasti che ravvivano il film. Notevoli gli sguardi in primo piano dei rivoltosi, degli abitanti di Odessa, e della folla sulla scalinata. Sguardi su cui il regista imprime molti segni memorabili dello spirito e della tragedia della rivolta. Il regista non dà tregua allo spettatore. La tenuta psicologica per tutto il film è buona. Sia l’apprensione che lo stupore si mantengono alti per tutta la durata della pellicola. Una tenuta psicologica che è ancor oggi favorita dall’ingenuità e dall’ignoranza di chiunque si mette di fronte ad un capolavoro del genere.