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ENCLAVE regia di Goran Radovanovic

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Invia una mail all'autore del commento tylerdurden73     7½ / 10  15/03/2016 10:51:42Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Un' enclave nel bel mezzo del Kosovo, i serbi sono ovviamente una minoranza, tra di essi il giovane Nenad. La sua vita scorre in modo anomalo: è l'unico alunno della scuola dove viene accompagnato da un mezzo blindato delle forze di pace, non gioca con i coetanei albanesi, le sue uniche compagnie constano nel nonno ormai moribondo, in un vecchio prete e nel padre dedito ad ingerire gran quantità di grappa.
In questo posto, in cui il tempo sembra essersi fermato e dove anche organizzare un funerale sembra essere impresa titanica, le varie etnie convivono consapevoli che le braci dell'odio covano ancora sotto la cenere, nonostante il conflitto, di cui il territorio porta ancora brutali segni, si sia ufficialmente esaurito nel 1999 dopo tre anni di sanguinosa mattanza.
Di conseguenza Nenad, unico bambino serbo di un villaggio sperduto, si trova regolarmente isolato e preso in giro dai suoi coetanei. Almeno fin quando la naturale curiosità infantile non spinge all'incontro le due parti in causa.
Goran Radovanovic lascia perdere i riferimenti storici e politici, abbandona le motivazioni che dividono questi popoli da tempo immemore, sposa invece una visione ad altezza bimbo, in cui lo sprezzo è alimentato unicamente dal contesto e dal sapere adulto.
Una tragedia sfiorata in un pomeriggio di gioco e si rischia nuovamente il caos; la sparizione di un bimbo, un proiettile conficcato in una gamba e la polveriera comincia a ribollire.
Nessuna immagine cruda, ma si instaura veemente una situazione di grande tensione, già apertamente presentata mediante una misteriosa sassaiola nei confronti di un autobus serbo e attraverso il comportamento intimidatorio degli agenti di polizia.
Radovanovic sembra concedere alle nuove generazioni la speranza di un mondo migliore, nell'idea di un pentimento e relativa espiazione, in un riavvicinamento che viene alimentato dal senso di colpa e del dovere unito ad una stanchezza relativa al perpetuo accanimento. Al tempo stesso però sottolinea quanto sia ardua questa bonifica degli animi, una pacificazione quasi utopica che costringe Nenad ad una condizione di perenne discriminazione dettata da una perpetua non appartenenza, come chiaramente esplicitato nel dolceamaro finale.