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AMORE E GUERRA regia di Woody Allen

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ULTRAVIOLENCE78     7 / 10  13/09/2008 10:10:34Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
“Amore e Morte” appartiene alla prima fase cinematografica di Woody Allen, e si presenta come una sorta di tributo, in forma di parodia, ai grandi della letteratura russa (Tolstoj e Dostoevskij) ed al cinema di Bergman.
Il protagonista, Boris Grushenko, è una specie di “idiota” che vede nelle vicende umane il lato paradossale ed insensato. Egli, sin da piccolo, rifugge da qualsiasi forma di violenza (mentre i suoi due fratellini giocano ad azzuffarsi, Boris è invece intento a sperimentare il primo aproccio alla morte con una finta crocifissione), e questa sua idiosincrasia lo porterà ad essere visto come un vile quando da grande, in occasione dell’imminente guerra contro la Francia di Napoleone, si mostrerà fortemente recalcitrante. Ma il povero Boris in guerra, suo malgrado, ci andrà e qui avrà modo di toccare con mano l’assurdità del nefasto spettacolo che si inscena sotto il suo sguardo spaesato e sempre più distaccato dalla realtà; assurdità che si acuisce quando Allen, ricalcando in maniera farsesca il contrasto stridente tratteggiato da Tolstoj tra l’immensa tragedia del conflitto russo-francese e la piccola e miserabile figura di Napoleone, presenta quest’ultimo come un grottesco megalomane che si preoccupa di avere il primato, tra le altre cose, anche nel campo culinario.
Anche nei rapporti con le donne, l’esistenza di Boris si rivela in tutta la sua inadeguatezza: egli ama Sonia, decantata inizialmente come donna sensibile, colta, profonda e amante dell’arte; ma l’idealismo di questa si scoprirà subito fittizio quando dichiarerà il suo amore per il rozzo e zotico fratello di Boris e successivamente sposerà, soltanto per una volgare ripicca, uno squallido e fetido commerciante di aringhe. L’ultimo momento in cui si ritrae Sonia è una parodia di “Persona” di Bergman: il discorso nichilista sull’ “amare e il soffrire” che ella fa alla cugina (“amare è soffrire. Se non si vuol soffrire, non si deve amare. Però allora si soffre di non amare. Pertanto amare è soffrire, non amare è soffrire, e soffrire è soffrire. Essere felice è amare: allora essere felice è soffrire. Ma soffrire ci rende infelici. Pertanto per essere infelici si deve amare. O amare e soffrire. O soffrire per troppa felicità. Io spero che tu prenda appunti”) si chiude, infatti, con un’inquadratura che riprende quest’ultima di lato e Sonia di fronte con metà del volto coperto dal profilo della prima.
L’equivoco e il travisamento in cui l’incompreso Boris si trova sempre invischiato culmineranno quando questi verrà accusato di aver attentato alla vita di Napoleone: così egli, che fino all’ultimo ha cercato invano di dimostrare la amoralità che sta alla base del gesto omicida, si ritroverà –al contrario del Raskolnikov dostoevskijano- beffardamente ad essere giustiziato per un atto che non ha mai commesso e nel quale non ha mai creduto. E questa situazione, allo stesso tempo tragica e grottesca, viene indicata da Allen come simbolo del destino degli uomini, da sempre condannati a scontare colpe che non sono proprie.
Ma come sempre, nel pessimismo “alleniano” c’è un barbaglio, una luce di ottimismo. E questa luce si sostanzia nel vedere il lato positivo nel dramma dell’esistenza: così egli afferma che se un Dio c’è questi non è cattivo ma semplicemente un disadattato; e della morte dice che essa non va vista come la fine di tutto ma come un modo per ridurre le proprie spese.
Il film si chiude con un esilarante ribaltamento del finale de “Il settimo sigillo”, in cui si vedono sfilare danzando la morte (bianca) seguita da Boris.
Benchè narrativamente un po’ sfilacciato e frammentario, “Amore e morte” è comunque buon esempio della verve comica di Woody Allen, che in anche questa occasione riesce a tirare fuori battute memorabili.

“Domattina alle 6 sarò giustiziato per un crimine che non ho commesso. Dovevano giustiziarmi alle 5, ma ho un avvocato in gamba”.