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RACE: IL COLORE DELLA VITTORIA regia di Stephen Hopkins

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Invia una mail all'autore del commento kowalsky     5 / 10  11/04/2016 02:05:23Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Un film sicuramente NON riuscito. Niente da dire sulla dignita' della confezione/realizzazione, ma nel suo insieme Stephen Hopkins non ci risparmia alcun luogo comune sul genere, la competizione, il riscatto, la gloria, la vittoria...un film di maniera che a tratti mi ha anche emozionato nonostante faccia di tutto, con il suo rigore didascalico, per non provocare alcun sussulto emotivo. Stephen James e' un Jesse Owens belloccio ma statico, le figure di Goebbels e Leni Riefenstahl sono ridotte a macchiette (soprattutto il primo), e il film e' totalmente privo di sfumature, proprio come accade in certi film costosi e prevedibili di Richard Attenborough. "RACE" ha almeno due aspetti interessanti che non vengono sfruttati bene, il primo e' il personaggio di Jeremy Irons, un falso progressista liberale in realta' piu' burocrate che sincero. Il secondo e' il fatto che Jesse Owens entri nella Gabbia dei Leoni (le Olimpiadi di Berlino del 1936 in pieno regime nazista) mentre prova gia' sulla
sua pelle di (afro)americano il razzismo "legalizzato" e indisturbato che vige sugli States.
Clint Eastwood, nel suo post-bellico "Flags of our feathers", ha raccontato meglio questo conflitto vigente tra la Gloria e il razzismo. Invece Hopkins sceglie una via narrativa piu' romanzata e retorica che reale, realizzando un film soddisfacente ma arido, dove conta la spettacolarizzazione del Mito di Owens, e non molto altro. Il momento peggiore e' proprio il confronto con l'avversario tedesco, Pedina di un'ideologia di devastanti atrocita'. E tantopiu' il film non riesce a superare l'ambiguita' ideologica della Riefenstahl, che non era certo una Pedina di nessuno, e avrebbe avuto tutto il diritto di ribellarsi al Reich, insomma la Storia e' leggermente diversa e molto meno accomodante. Consiglio ancora caldamente "Jesse Owens Story" del 1984, un film tv che almeno racconta i fatti senza troppe liberta' narrative