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DOLLS regia di Takeshi Kitano

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kafka62     8 / 10  13/05/2018 15:28:22Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Le "dolls" del titolo sono le marionette bunraku, talmente popolari nel teatro giapponese da costituire un genere artistico a sé stante, codificato fin nei minimi particolari e caratterizzato da storie d'amore infelici e dall'esito tragico (un po' come nel melodramma operistico nostrano). Il teatro bunraku offre a Kitano il meraviglioso pretesto di dar sfogo a quella vena che, sotterraneamente, ha sempre percorso il suo cinema, e cioè un pessimismo totale e irremissibile. Le tre coppie di "Dolls" sono infatti espressione di un'idea di amore talmente puro e assoluto da sfociare inevitabilmente, per poter sfidare la caducità dei sentimenti e ambire all'eternità, nel sacrificio, nella rinunzia e nella morte. Il film di Kitano è pieno di immagini simboliche (la farfalla schiacciata sull'asfalto, il pesce preso all'amo), le quali compongono un delicato controcanto colmo di tristezza e di dolore alle vicende narrate: un ragazzo che lascia la fidanzata per diventare uno yakuza e che scopre, da vecchio, che lei per decenni ha continuato ad aspettarlo nella stessa panchina di una volta; un uomo che si acceca per poter accedere al cospetto della ex cantante di cui è innamorato, rimasta sfigurata dopo un incidente stradale; e soprattutto una coppia di sfortunati amanti che vagano per il paese legati tra loro da una corda rossa che non scioglieranno mai, simbolo essa stessa dell'amour fou.
Come dicevo più sopra, Kitano non è mai stato così pessimista come in questo film. Il lieto fine non solo è negato, ma è addirittura, ogniqualvolta tra rimpianti e nostalgici rimorsi si affaccia la possibilità di una sia pur tardiva ricomposizione affettiva, ribaltato dal destino e dalla morte in agguato. Eppure, il tono di "Dolls" non è mai disperato, ma dolce ed elegiaco, di un romanticismo quasi astratto, fuori dal tempo e dallo spazio. Anche lo stile della pellicola risente di questa impostazione: oltre alle ellissi e ai fuori campo, di cui Kitano è da tempo maestro, in "Dolls" vi è una tale raffinatezza formale (nei movimenti di macchina, nei paesaggi, nei colori – soprattutto nei colori, del rosa dei fiori di pesco, del rosso delle foglie autunnali, del bianco della neve) da rasentare quasi il calligrafismo. Ma l'algida perfezione e la elaborata lentezza del ritmo non devono trarre in inganno, perché nascondono sotto la superficie un materiale incandescente, che la grande saggezza stilistica del regista fa uscire allo scoperto non più con le esplosioni di violenza di "Sonatine" e di "Hana-Bi", ma per mezzo di sfumature, allusioni e immagini poetiche. Fino a realizzare, nel bellissimo finale, l'immedesimazione e la sovrapposizione dei due "vagabondi legati" con le marionette del prologo, straordinaria reificazione che ha il significato di portare un amore in carne e ossa nelle alte e inarrivabili sfere del mito.