julian 8½ / 10 20/01/2012 02:25:39 » Rispondi Capolavoro di stile di Woody Allen, brutalmente ignorato nel range dei film più interessanti usciti nell'ultimo quindicennio almeno nel panorama hollywoodiano e incomprensibilmente depennato persino dalla filmografia principale del regista newyorchese, nella quale meriterebbe invece di figurare ai primi posti. E' un film praticamente perfetto in tutto: Sean Penn tira fuori una performance che sembra sedimento ed espressione di vita vissuta più che una semplice interpretazione attoriale; Emmet Ray vive in lui e lui, mentre girava il film, viveva effettivamente da Emmet Ray. A far deliziosamente da spalla, una figura di contrasto, emotivamente carica, quale Samantha Morton. Girato in maniera semplicemente geniale sotto forma di mockumentary, come già fu Zelig, mettendo insieme e integrando alla perfezione l'esistito e l'inventato, il reale e il, meravigliosamente, romanzato. La figura di Emmet Ray si costruisce tutta sullo spettro del, quello si esistito, più grande jazzista degli anni '30 Django Reinhardt, verso il quale il film diventa inevitabilmente un indiretto omaggio. La condizione di eterno secondo, la produttività artistica strettamente connessa all'emotività, l'impossibilità di espletare rapporti sentimentali all'infuori della propria chitarra e, da questo, l'ambivalenza di fondo del personaggio, spiegata metaforicamente dal titolo originale e resa (male) in italiano. E poi c'è tutta la prima parte, estremamente divertente, tra mirabolanti effetti scenici, discorsi sulla profondità dei treni e caccia ai topi di discarica. Tutto inserito in un indimenticabile riquadro di America anni '30, sorretto delicatamente dalla colonna sonora del jazz sinti. Insomma, tanta roba, davvero.
"Bè, ci sarebbe un certo zingaro che vive in Francia...".
Terry Malloy 10/07/2013 22:52:44 » Rispondi Sei l'unico che capisce qualcosa qui dentro