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THE NEON DEMON regia di Nicolas Winding Refn

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Invia una mail all'autore del commento tylerdurden73     7 / 10  25/10/2016 10:39:21Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Massimale esaltazione estetica, esercizio di stile -per una volta da non intendersi nell'accezione negativa del termine- in cui i virtuosismi registici si sprecano per levigare, abbellire, colorare e rendere attraente una superficie sotto la quale si muove un orrore primitivo, consegnato senza troppe moine e giustificato in modo elementare dall'essenza prevaricatrice della natura umana.
Da una sceneggiatura scheletrica, simile alle protagoniste di questo suo ultimo lavoro, Nicolas Winding Refn estrae un film meraviglia per la vista, in cui però ogni sentimento è raffreddato dalla glacialità di un mondo restituito (forse) in forma ferocemente satirica o che è semplicemente immagine riflessa di noi stessi, attraverso il superfluo, la bugia ed il mendace luccichio, alimentati dallo sfrenato desiderio di visibilità, apparenza e arrivismo.
Una probabile riflessione amara improntata sulla forma, riempita di sequenze da applausi (quella del party, il set fotografico con relativa metaforica scena di stupro, gli ultimi venti minuti) in cui i maschi, solitamente protagonisti prediletti del regista danese, vengono messi in disparte, utilizzati come fantocci mossi da istinti patetici, ferini o dettati da una posizione di potere che non li eleva da una dimensione dominata dal corpo femminile e dove il massacro cannibalico ha luogo ogni giorno.
Se discutibile è l'utilizzo della bella ma poco carismatica Elle Fanning, è invece centrata la figura della fenomenale Jena Malone, inquieta rappresentante del marciume celato nel gioco della seduzione, dall'istinto malevolo nascosto nella celebrazione del bello.
A mio parere meno convincente rispetto i precedenti lavori in "The Neon Demon" é palese il tentativo di discostarsi dal successo commerciale di "Drive" per intraprendere un percorso molto più arty e indipendente, al tempo stesso l'indiscutibile narcisismo dell'autore, utilizzato in modo positivo in "Solo Dio perdona", sia in questo caso troppo immolato alla causa formale, lasciando eccessivamente in secondo piano qualsivoglia contenuto capace di andare oltre un minimalismo concettuale a tratti estenuante.
A rendere ancora più oscuro il tutto non può mancare l'ipnotico incedere musicale di Cliff Martinez, legato con l'altrettanto scontata quanto efficace presenza di scene forti e dall'ormai magistrale utilizzo delle luci.
In definitiva ci si trova davanti a uno specchio fedele dell'ambientazione glamour: di conseguenza pellicola spietata, seducente, elitaria ma soprattutto fatta esclusivamente di esteriorità e immagini monodimensionali, limiti oltre i quali Refn evita di spingersi per propria scelta, personalmente non completamente condivisa.