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ARCA RUSSA regia di Aleksandr Sokurov

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Invia una mail all'autore del commento kowalsky     10 / 10  09/02/2005 22:12:45Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Un sogno puro diventa soprattutto "lo sguardo che vorremmo cogliere senza farci vedere". Nondimeno, questo è il limite impossibile dell'uomo, tra i tanti, superare il tempo, sconfinare oltre le barriere insormontabili dei luoghi e del privato, sollecitare la storia a diventare parte integrante di noi, e a rispecchiarsi nel presente per farci sentire distanti, eppure vicini... L'Hernitage di San Pietroburgo, a qualche anno dalla perestrojka e dalla rimozione del passato più presente a favore di una faticosa, sommessa, rivalutazione di ciò che è accaduto ben prima della rivoluzione. Perchè fu fatta la rivoluzione nel 1918? Perchè l'impero aveva fatto più danni del successivo Stalin, ma è meglio non dirlo: Sokurov ha il limite di navigare nello stupore con l'occhio di un bambino colto a rivestire di effige e splendore cotanto passato... splenda pure su di noi (e lui) questa rapsodia di illustri personaggi, tanto più se filtrati dal sogno (più Ophuls che Fellini direi, più Greenaway che Visconti) e quindi sfuggenti, anonimi, mai protagonisti (un paradosso felice che contrasta col loro splendore ultra-terreno e atemporale). Il tutto davanti a un'unico piano-sequenza, che a sentire Enrico Ghezzi ridurebbe di molto l'effetto artistico del film. Per nulla d'accordo: se non è cinema, è qualcosa di maledettamente vicino alla dimensione arcaica, onirica, visionaria, del nostro corpo, della nostra mente. Si avvicina un diplomatico, diventa presenza enigmatica ma concreta di tutto film e - oh dio - sembra l'Erland Josephson dei film di Bergman ("nel sogno noi possiamo vedere volti sotto mentite spoglie" direbbe Freud: vale anche per i cinefili?). Colgo una sottile ironia nel progetto, che rende testimoni dello stupore della bellezza, dai dipinti di Goya a El Greco, da Tiziano a Van Eyck, testimone di un'arte che celebra così l'immortalità nella sua unica forma possibile (è intrinseca quella culturale) La macchina da presa poi, esercita un'effetto vertigo davvero inimmagibile: è un graditissimo viaggio vorticoso in una scena aperta che, più che muoversi, "vola" nello spazio infinito del pathos (l'emozione è decollo, direbbe l'ultimo Scorsese, la rimozione staticità terrena). Sokurov ci offre il "suo" sogno che in fondo non è altro che la labile speranza di poter universalmente prendere di petto la storia di ciascun paese, di riportare le proprie radici a un'illusione non faziosa, ma nemmeno rimozionale. La dimensione del tempo è la stessa dell'Arte, che reclama di essere contemplata per sempre. No, Sukorov non costringe lo spettatore a seguirlo, ma lo invita cordialmente a condividere la sua emozione. E' quasi spontaneo quando mette in scena un decor che arricchisce ogni istante del film. Lo sguardo cattura le simbologie delle opere (didattico in tal senso, ma non nella velleità istituzionalizzata del nostro Rossellini degli anni sessanta), "maschere" che recitano con un'impeccabile disinvoltura, dall'ufficiale che dopo il ballo si siede e "posa" con la mano stanca incrociando le gambe, alla "recita è finita" dell'infinito accomiatarsi delle centinaia di comparse che scendono le lussuose scale del futuro//presente museo... In un certo senso, sono anch'essi "quadri viventi" ignari magari del destino riservato a quelle misteriose sale... Forse Sukorov individua le responsabilità del potere di allora rispetto ai ceti sociali medio-bassi, a differenza di Michalkov che non vuole sentirne parlare... Ma evidentemente il sogno impedisce di lasciarsi andare a qualche ideologismo di troppo. Quando il diplomatico si congeda in un malinconico "è tutto finito" sappiamo certo a quale nazione fa riferimento. Un'apologo finale, di un qualunquismo quasi materno, ci riporta la nostra frustazione, benchè fino a poco prima ci fosse l'opportunità di frenarla temporaneamente. Un poema sul tempo perduto, o su una terra irriconoscibile oggi nel suo germanesimo incoerente (la Russia pigra e accusata di vivere coniugando il verbo europeo, come si dice solitamente, oggi è fatalmente tradita dallo stesso potere persuasivo oscuro d'Europa). O, più semplicemente, l'unica concessione alla nostra funzione umana: sognare, e viverci dentro
ds1hm  15/02/2006 14:19:57Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
uno dei commenti più belli letti finora, ricco di riferimenti. si farà fatica a commentare in seguito l'arca russa...