76mm 6 / 10 14/11/2016 13:15:17 » Rispondi Bellocchio deve aver visto nel romanzo autobiografico di Gramellini gli spunti giusti per firmare un nuovo capitolo del suo discorso sulla famiglia, istituzione notoriamente poco amata dal regista piacentino, concentrandosi in particolare sul rapporto più viscerale e ombelicale che possa esistere fra esseri umani, ovvero quello madre/figlio – figlio/madre, e del modo in cui lo spezzarsi prematuro di questo legame, quando non completamente metabolizzato, possa ripercuotersi per tutta una vita. Il regista si mette al servizio della storia e confeziona, caso raro nella sua ultracinquantennale filmografia, un film per tutti i gusti, quasi per famiglie mi verrebbe da dire, rinunciando alla rabbia e al furore che ne hanno contraddistinto una lunga parte di carriera e che si sono andati sempre più affievolendo nel corso degli anni, così come anche alla consueta galleria di personaggi grotteschi di cui di solito i suoi film pullulano, con la parziale eccezione di quello interpretato da Gifuni che però è più caricaturale che altro e poco funzionale per la narrazione. Il film risulta pertanto corretto e scorrevole ma poco personale, Bellocchio non è riuscito a farlo suo, forse per paura di tradire lo spirito del romanzo (che non ho letto). I personaggi non riescono a lasciare il segno, a parte il sempre bravo Mastandrea, che però fa sempre lo stesso ruolo da anni, come se in Italia fosse l'unico in grado di interpretare i personaggi malinconici e tormentati (un po' come succede per Margherita Buy per quelli nevrotici)…la Leone è puramente decorativa e non si capisce l'utilità del suo personaggio, la Bejo rappresenta l'improbabile stereotipo della dottoressa da film, giovane, bella, comprensiva e con un sacco di tempo a disposizione per ascoltare gli sfoghi del primo sconosciuto complessato che le si rivolge (quanti di voi nella realtà si sono imbattuti in un personaggio del genere girando per ospedali?), e anche il prete di Herlitzka è un po', come dire, annacquato, considerando la nota avversione di Bellocchio per la religione e i suoi rappresentanti. Il finale, seppur molto didascalico nel suo simbolismo, mi è piaciuto…però una cosa non sono proprio riuscito a capirla, forse perché non ho letto il romanzo, e nel film non viene molto chiarita
Lui vive male fino a quarant'anni e passa per il dubbio che non gliel'abbiano raccontata giusta sulla morte della madre…la soluzione sta in un articolo di giornale…lui è un affermato giornalista...non penso che avrebbe avuto particolare difficoltà a risalire a quell'articolo se avesse voluto…insomma, considerando pure che è del mestiere, perché non è andato prima a recuperarsi i giornali risalenti al giorno della morte della madre? una donna che muore d'"infarto fulminante" a 38 anni un trafiletto gliel'avranno pure messo no?...invece si rode il fegato per trent'anni…il dubbio che mi è venuto è che in realtà il buon Mastandrea/Gramellini non abbia voluto di proposito scoprire la verità, rifugiandosi nelle balle a fin di bene che gli hanno raccontato per tutta la vita, però per me è poco credibile rovinarsi l'esistenza così quando hai la soluzione sottomano…perché allora all'improvviso questa impellenza di scoprire la verità? Ce l'hai sempre avuta sotto il naso…non so se nel romanzo questo aspetto è chiarito meglio, nel film questa cosa stride molto.