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COME IN UNO SPECCHIO regia di Ingmar Bergman

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kafka62     7½ / 10  26/04/2018 11:38:43Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
"Come in uno specchio" è il primo degli "psicodrammi da camera" con i quali Bergman impose e consolidò, negli anni '60, il suo stile, o meglio ancora la sua "maniera": non si tratta propriamente di un film teatrale, ma, secondo i dettami del kammerspiel, di un'opera chiusa (anche temporalmente) in se stessa, claustrofobica e concentrazionaria (le acque che circondano l'isola di Faro ne rappresentano il naturale e invalicabile confine), scabra come la sonata per violoncello di Bach che costituisce il suo unico accompagnamento sonoro. Il suo sviluppo narrativo diventerà una costante nel cinema successivo del maestro svedese: si parte da una situazione di equilibrio, apparentemente serena ed idilliaca (i quattro personaggi si accingono a trascorrere lietamente insieme una vacanza di quattro settimane), per poi fare esplodere con inattesa violenza i conflitti esistenziali latenti, nel corso di dialoghi-confessioni tanto sinceri quanto dilanianti e crudeli. Il dato di partenza è, come sempre quando si tratta di Bergman, il problematico rapporto dell'uomo con la vita, con gli altri uomini e con Dio. Gli attori del dramma, dal padre David al figlio Minus, dalla figlia Karin al genero Martin, si trascinano appresso egoismi, solitudini, infelicità, sensi di colpa e frustrazioni, che il loro continuo incontrarsi e mettersi a nudo non serve a dissipare, ma anzi finisce per ingigantire e incancrenire, dal momento che ognuno di loro vede negli altri (riflessa "come in uno specchio", come suggerisce il titolo) essenzialmente l'immagine del proprio fallimento.
Karin soffre di una misteriosa malattia incurabile e, come i mistici folli di Dostojevskij (dal principe Myskin a Marja Timofejevna), aspira a un contatto privilegiato con Dio, finendo però per sdoppiarsi schizofrenicamente in due mondi (quello reale e quello immaginario) tra loro non comunicanti. Martin, da parte sua, è il marito-padre affettuoso e pieno di premure, che però assiste alla tragedia di Karin – lui uomo di scienza, positivo e razionalista – senza mai poterci veramente entrare dentro. David è invece lo scrittore di successo, egoista e arido, chiuso a riccio a protezione del proprio status di genio e di artista ("Si traccia un magico cerchio intorno a noi – dirà alla fine alla figlia – escludendo tutto ciò che può compromettere i nostri intenti, ma quando la vita spezza il cerchio questi intenti si rivelano meschini e insignificanti. Così tracciamo subito un nuovo cerchio, un nuovo riparo"). Minus infine è l'adolescente sensibile, romantico, che soffre tanto per la mancanza di affetto del padre quanto per la sua impotenza nell'essere di aiuto alla sorella. Bergman aggiunge a tutto ciò un pizzico di scabrosità (il rapporto incestuoso tra Karin e Minus), una simbologia abbastanza eloquente che richiama la deriva esistenziale dei protagonisti (il relitto della nave sulla spiaggia) e alcune sequenze che rasentano l'isteria religiosa (come ne "I diavoli" di Ken Russell, anche qui non è estranea una forte componente di repressione sessuale), per raggiungere la dolorosa ed alienante conclusione che la solitudine dell'uomo, tanto nei confronti del prossimo (Karin: "Siamo così indifesi a volte, come bambini che si sono perduti in luoghi deserti", e Minus: "Mi domando se tutti vivono chiusi in se stessi, nel proprio mondo… ognuno la sua cella") quanto nei confronti di Dio, è assoluta e insuperabile.
Bergman non sviluppa tutti i suoi personaggi alla stessa maniera: lascia un po' troppo in ombra, ad esempio, quello di Martin, mentre carica Karin e David di una negatività talmente forte ed assoluta da non rendere possibile uno svolgimento dialetticamente e drammaturgicamente efficace dei singoli rapporti interpersonali e dei conflitti che da essi trapelano. Si ha piuttosto una lenta e continua implosione spirituale, che conduce la storia verso quella che è sì una emozionante scena madre ma, a mio avviso, anche e soprattutto un binario morto: mi riferisco alla sequenza in cui Karin, al culmine della sua crisi, crede finalmente di vedere Dio, ma Lui le si rivela sotto la forma spaventosa di un ragno dal viso ripugnante e gelido. Bergman a questo punto, per contrappuntare la definitiva uscita di scena di Karin (portata via, insieme al marito, da un elicottero) non sa far meglio che rovesciare la negatività di David in una positività artificiale e posticcia (già anticipata da questi a Martin durante una gita in barca, ma non per questo meno fastidiosa e inattendibile). Egli infatti si fa improvvisamente portavoce di una morale che è discutibile non certo per il suo contenuto (benché esso sia assai poco bergmaniano), ma perché lascia inevitabilmente trapelare un frettoloso intento didascalico, completamente slegato dal resto del film. Si legga, per rendersi conto del tono ampolloso e falso di questa conversione, il lungo monologo pronunciato da David: "Dio è la certezza che l'amore esiste come cosa concreta in questo mondo di uomini… Ogni genere di amore, il più elevato e il più infimo, il più oscuro e il più splendido, il desiderio e la repulsione, trascendenza e fede… Questo pensiero è il solo conforto alla mia miseria e alla mia disperazione". Certo, la sceneggiatura di "Come in uno specchio" contiene anche dei momenti di ben altra efficacia (basta pensare a questo splendido scambio di battute tra Karin e Martin: "Sei sconcertante a volte… sai dire e fare le cose più appropriate, eppure sbagli lo stesso". "Se sbaglio è solo per amore, dovresti saperlo". "Chi ama sinceramente non dovrebbe mai cadere in errore". "Allora vuol dire che tu non mi ami"), la messa in scena è tecnicamente impeccabile (ogni inquadratura tende a tradurre in un linguaggio disadorno ed essenziale l'intima verità dei sentimenti umani), e Harriet Andersson è bravissima nel modulare gli alti e bassi di una personalità scissa e sofferente, ma la "certezza conquistata" (è il termine con cui il regista ha sintetizzato il significato di "Come in uno specchio") non si addice a Bergman: assai meglio farà quando, in film come "Persona", si tratterà di rovesciare o di negare questa certezza.