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COME IN UNO SPECCHIO regia di Ingmar Bergman

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Crimson     9 / 10  01/08/2005 13:21:21Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Spesso i film di Bergman sono costruiti su pochissimi personaggi, con l'intento chiaro di basare tutto il senso della pellicola sulle relazioni strette tra di essi, essendo "l'incomunicabilità" uno dei temi cari al regista. "Come in uno specchio" è un grandissimo film perchè non si "limita" ad affrontare tale tematica, anzi, attraverso dialoghi potentissimi e variegati si sposta di continuo su moltissimi aspetti delle riflessioni dell'uomo. Per di più descrive in modo fedele e naturale la schizofrenia. E' tale disturbo di Karin a rappresentare il fulcro su cui si muove l'intera vicenda, eppure come al solito (inteso nei film di Bergman) si delineano pian piano altre vicende non ascrivibili ad una ragione "terrena" che funga da motore, bensì a meccanismi inconsci, alla forza distruttiva della diversità e incompatibilità di carattere che spesso intercorre tra gli esseri umani. Martin è un chiaro esempio: ama Karin ma non la capisce, e la cosa che mi ha colpito e affascinato è che Bergman descrive questa incompatibilità prima che si manifestino i sintomi del disturbo di Karin, e ha rinforzato la mia opinione che la schizofrenia sia solo un pretesto per descrivere una realtà forse ancor peggiore (come ho accennato in precedenza). Inoltre la riflessione sul "silenzio di Dio" non manca neanche in questo film: è presentata apparentemente nascosta in un finale incredibile, in cui accade di tutto. Bellissima anche la descrizione del rapporto padre-figlio, che lascia un segnale di speranza.
Crimson  15/09/2011 20:55:46Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Leggerissima rivisitazione, 2011, inizio di primavera, Giardini.

Voto 10/10

The reason of this earthly existence
is a mystery to me, to which I bow my head
For, if love is the reason, then so is pain
So is pain

(R.S. '95)


Le urla di Karin mi fanno rabbrividire. Oltre alla sua sofferenza esprimono l’orrore dell’umanità.
Ha visto dio sotto forma di un ragno che voleva possederla. Tutta questa ricerca affannosa per scoprire infine che dio è orrore.

Karin ha appena affrontato il vero volto di tutto l’universo in cui aveva cercato conforto. La malattia mentale un rifugio.

I personaggi di questo “dramma da camera” (sarebbe meglio “da isola”) alludono spesso ad un universo parallelo. Lontani dalla realtà spaziale circostante sono in qualche modo costretti a dover intessere necessariamente relazioni con le persone che condividono il loro stesso spazio circoscritto.
In queste condizioni, prima o poi la consuetudine decade a favore della vera percezione dell’altro e di conseguenza del legame che li unisce.
Nel film tale natura si rivela dopo pochissimi minuti, e con impetuosità progressiva.

Il centro è Karin. Lei è la sensibilità fatta persona. Ha una percezione particolarmente distorta, in particolare dei rumori, ma anche delle immagini (allucinazioni uditive in primis, seguite da allucinazioni visive). La crisi è la manifestazione psicopatologica del punto di rottura tra la sua realtà e quella presunta tale.
Il limite, è labile. La colpa, non ascrivibile. Il rimedio, un mistero.

Il film è costituito da cinque frammenti narrativi che si intersecano tra loro. Ognuno di essi approfondisce il rapporto tra due personaggi distinti. Possono così essere estrapolate le relazioni di questa natura: padre/figlio; padre/figlia; suocero/genero; fratello/sorella; moglie/marito.
E’ possibile evincere che solo il legame tra cognati Martin e Minus resta privo di interesse.

PADRE/FIGLIO

Il rapporto tra padre e figlio è chiarito presto per mezzo delle parole di Minus, che rivela, con angoscia, di non aver mai parlato veramente con David.
Trascuratezza e distacco da una parte, malessere e frustrazione dall’altra.
David regala un orologio al figlio, ma è evidente che Minus ne è già in possesso.
Sequenza successiva: David scoppia a piangere, in casa, lontano dagli occhi di tutti. Il primo momento di consapevolezza della sua inettitudine di padre.
Seguiranno altre due sequenze in cui David, almeno a parole, mostrerà l’inizio di un cambiamento positivo (le affronterò più avanti).

La condizione dell’artista: David è un romanziere che ha “sfruttato” la malattia della moglie per scrivere il suo primo romanzo di successo.
Al tempo in cui si svolgono i fatti, sta facendo lo stesso con la malattia della figlia.
David è in totale crisi creativa, l’ispirazione è inconsistente, fatta eccezione di quando cerca di tradurre qualcosa di psicopatologico.
Minus al contrario rappresenta una natura ancora artisticamente vergine e pura: il suo piccolo spettacolo teatrale è la riprova di un talento in crescendo, di cui non è ancora pienamente soddisfatto. Ciò lo si può addurre ad una giovanile mania di perfezionamento continuo, di insoddisfazione per i risultati prodotti da un proprio “sentire” artistico ancora grezzo ma pulsante.
In quella rappresentazione forse Bergman vorrebbe riconoscersi, e nella perversione di Martin al contrario indicare un rischio (quasi da burn-out, potremmo definirlo) a cui l’artista va incontro.
David è sorpreso dalla rappresentazione: ritengo che i suoi incoraggiamenti nascondano una certa invidia, per cui egli afferma il vero quando esprime al figlio che nello spettacolo ha trovato qualcosa di buono.
Quella scena mette in evidenza soprattutto la volontà strenua di Minus di dimostrare al padre la propria vena artistica (di cui David non sembra essere neppure a conoscenza!).
Non una prova che mira a screditare il padre, ma semplicemente ad affermarsi. La voglia di segnalare “io esisto!” al padre.
C’è qualcosa di disperato ma sincero che trapela in quel momento.

PADRE/FIGLIA

Come scritto David rivela una curiosità morbosa e perversa per i sintomi della malattia della figlia.
Karin scopre ciò frugando nel cassetto della scrivania del padre e leggendo il suo diario: resta sconvolta. L’atto di spiare i pensieri del padre rimandano ad un sentore di cui ha cercato conferma.
Karin infatti era già perfettamente consapevole dell’anaffettività del padre nei suoi confronti, verso la sua malattia, ma mai avrebbe immaginato che si sarebbe spinta fino a quel punto!
L’incurabilità, o presunta tale, è vissuta dal padre come una rassegnazione gelida, non empatica.
Karin, confusa e stravolta, cerca ulteriori spiegazioni, ma non da suo padre. Il contatto tra i due torna solo più tardi, nell’abbraccio che consegue al suo incesto con Minus.
Karin confida, dilaniata da una fresca consapevolezza, ciò che ha commesso “guidata” dalle voci.
In quell’abbraccio David chiede perdono alla figlia per essere fuggito da lei: dinanzi alla sua malattia ha nuovamente assistito a quella che aveva stroncato la moglie, e di cui aveva segretamente gioito perché alimentava il suo romanzo, benchè in fondo l’amasse.
Ma a questa sequenza di riconciliazione che appare così genuina ne segue un’altra, la scena madre del film: la visione di Karin. Mentre ella prega in ginocchio, David non osa varcare la porta, resta fuori impietrito. Addirittura in un momento assistiamo alla sua ombra che sembra dileguarsi, per poi rispuntare in un secondo momento. Cosa lo blocca? Il terrore di assistere sua figlia in quelle condizioni? Paura di una effettiva rivelazione?
Paura della fede, paura della malattia: sembra aver sviluppato, nelle parole finali dedicate al figlio, la consapevolezza che fosse quel terrore ad averlo ostacolato nei rapporti, e che siano essi il senso reale da ricercare.
La mostrificazione di Karin è il risultato della sua patologia, causata da fattori diversi che esulano dalla sua volontà. Il distacco dal mondo del padre è invece volontario, egoistico. E’ una mostrificazione che egli cerca di raccontare a Karin: c’è un cerchio nel quale cerchiamo di chiudere i nostri affetti, cercando di tenere fuori il resto. Ma quando gli avvenimenti della vita spezzano quel cerchio, gli interessi si rivelano nella loro natura meschina.
Entrambi malati, sospesi in un limbo tra due mondi paralleli.

SUOCERO/GENERO

Due scene cardine del film, entrambe ambientate in barca, vedono protagonisti suocero e genero.
Nella prima, Martin esprime a David la preoccupazione per la moglie, giacchè da un suo collega psichiatra ha ricevuto la notizia che la psicosi di Karin degenera e potrebbe divenire incurabile. Quest’ultima parola è un vocabolo che atterrisce entrambi, ed entrambi anziché avvicinare ulteriormente Karin sembrano disgustarla e rifiutarla per questo.
Il secondo dialogo, a metà film, è molto più significativo, e costituisce un momento di svolta per approfondire la conoscenza di Martin e del rapporto con David.
Quest’ultimo racconta di aver tentato il suicidio in Svizzera; il fallito tentativo l’avrebbe “svegliato” e mostrato che avrebbe dovuto riavvicinarsi ai figli e a Martin.
Quest’ultimo gli rinfaccia inorridito la perversione che ha visto crescere nel suocero. Si tratta di un attacco duro e diretto, senza peli sulla lingua. E’ di fatto l’unico momento in tutto il film in cui Martin si mostra finalmente autorevole e caratteriale. In tutte le altre circostanze egli è una figura nell’ombra, incolore, priva di spirito di autoaffermazione.
In questa scena emerge un attaccamento realmente forte a Karin, nelle intenzioni, ma assolutamente sterile nel concreto.

MOGLIE/MARITO

Il limite di Martin come detto è una mancanza di personalità quando è con Karin. Tra moglie e marito c’è un distacco insanabile. Non c’è una sola scena di passione o che riveli attrazione. Meglio ancora, Martin ama Karin, non corrisposto. La tratta come una “bambina”.
La moglie a causa della malattia per certi versi è regredita ad uno stadio di fanciullezza e Martin non di certo l’aiuta, dal momento che non la tratta alla pari.
Quale comunicazione può avvenire tra i due, in queste condizioni? Più che marito e moglie sembrano padre e figlia.
Karin è assolutamente conscia dell’affetto di Martin, e in lui sembra aver trovato la figura paterna che le è sempre mancata.
I due coniugi non hanno rapporti sessuali: emblema, questo, di un legame impostato su livelli differenti.
Ciascuno sembra dunque compatire l’altro.
Quando Karin s’inginocchia per pregare davanti alla “visione”, inizialmente chiede al marito di lasciarla sola. Poi, dopo averlo visto seduto in un angolo, lo sprona a raggiungerla e pregare con lei (“anche se non ci credi, fallo per me” lo implora).
E’ una delle sequenze che esprimono maggior impotenza e sofferenza per me: ancora una volta, i due non si capiscono.
Martin anziché accogliere la richiesta della moglie non congiunge le mani, ma le si getta al collo, in lacrime.
Poco prima, anziché assecondare l’allucinazione visiva, le aveva chiaramente espresso, contraddicendola, che sulla parete non c’era nulla.
Martin disconferma la malattia della moglie, e di conseguenza la sua sofferenza.
Non è capace di approcciar visi con comprensione e lucida risolutezza.
Il suo accudimento è infantile e sterile.

FRATELLO/SORELLA

Minus e Karin sono accomunati dalla prematura morte della madre e da un padre che li ha praticamente abbandonati. Anche per questo motivo Karin ha sviluppato una psicosi.
Minus al pari della sorella è sessualmente confuso, sociopatico, introverso.
Il trauma ha intaccato la sensibilità di entrambi, influendo per alcuni aspetti similarmente.
Karin è sessualmente confusa perché con il marito non intercorre un rapporto affettivo uomo/donna, piuttosto di padre/figlia, come già scritto.
Guidata dalle voci, seduce e “abusa” del fratello inerme. Non assistiamo a questa scena, ma possiamo immaginarla. Nella sua confusione-alterazione psicopatologica, ha avvicinato sessualmente il fratello, non il marito.
In questo quadro di ruoli che si alternano e confondono, ciò rappresenta “l’esplosione” definitiva. Realtà e irrealtà si confondono.

Come vediamo, si torna in una sorta di circolo al rapporto padre/figlio, che rappresenta il collante di tutto, attraverso il famoso finale.
Minus rivela al padre che in quel momento “la realtà è esplosa” e che ha paura di viverla (anche per il padre è “esplosa” in un certo senso una nuova realtà, ecco perché in qualche modo i due trovano un terreno comune da cui ripartire).
“Tutto può accadere” esclama Minus: scopre il sesso come la vita. Dal disgusto e dalla miseria apre gli occhi verso la nuova realtà che gli si pone dinanzi, guidato per la prima volta dalle parole del padre (“Papà mi ha parlato”).


My Dark Reflections Of Life And Death

The pain is self-inflicted, cause is not
I long for my time, (long) before its due
I'm so tired of resting in despair

Judge me for who I am
relieve me for what I am
Remember me now for what I was
Forgive me for what I became

Where shadows speak of memories
I stand alone in my dark and lonely world
surrounded by this cold embrace of temptation
ah, serpent of lust and lie, where will my path go?
Should I be tempted by the light or should I remain in darkness
all alone, all alone.....

My way will be long, my road will be unknown
path to eternity, eternity lasts forever
light of day, day of darkness
I will never be trustfull again....

I am not for you, I am not for those
not for light, not for life
Farewell to sunlit world
on the dark side we will meet
we will meet again after life...

Time passes slowly
I fade away, life be drained

White bewinged angel of light
tempts me to change my life
come, come to me, she whispers
longing eyes, she stares through my soul and mind
wants me to become one of the light

I feel no pleasure, only pain
I feed upon my fear of life
trapped in agony and despair
Anguish of the night
I will meet you again
on the other side...


Why all this sorrow, why all this confusion?
I was one with thee, why am I left behind?

(Hate - fills my mind
Sorrow - breeds my life
But of those I choose, no one is sent out from you
what used to be, what could have been now)

(Tchort, 2000)


CONCLUSIONI

Ho provato ad approfondire la trasformazione dei quattro personaggi di partenza. Alla fine, essi ci appaiono in ben altra veste.
Bergman, per mezzo di una profondità psicanalitica inarrivabile, ha sondato sessualità, patologia e incomunicabilità.
E con un intervento autobiografico ha cercato di ricucire il caos di questo quadro dismorfofobico in un finale sì “appiccicaticcio”, ma di cui sentiva la necessità, e noi con lui.
Alla luce di tutto ciò è finalmente possibile dedurre che il dialogo conclusivo tra padre e figlio non è da semplificare in una nota di speranza e comunione.
E’ l’umano, l’indispensabile, la ricerca della domanda, non di una risposta, a cui dobbiamo ineludibilmente anelare.
Per la prima volta nel corso di tutto il film afferriamo e condividiamo non solo la solitudine di David e Minus, ma anche quella di Karin e Martin.
Dopo un ensamble così mostruoso, ciascuno ci tocca per la sua disperazione, e ci comunica una indispensabile necessità di compartecipazione.
In questa nuova luce, sanità mentale e patologia mentale si riconciliano finalmente nella nostra, comune esistenza.
Quel “mio padre mi ha parlato” non rappresenta tanto la speranza, ma l’accenno di un inizio, una (ri)nascita. La prima volta di un’esistenza.
Non sapremo mai come andrà a finire, quel che conta è aver realizzato la profondità di quanto accaduto, essere scesi al di sotto di quel livello di accudimento e di convenzione.
Quante volte abbiamo bisogno di addentrarci in questo mondo e quanto poco spesso lo facciamo concretamente, con genuina convinzione. Ci spaventa l’orrore, come per i quattro personaggi del film, e abbiamo paura di confidare a noi stessi che è un orrore molto più imponente e così privo di risorse quello che viviamo in superficie, perché i mezzi per vivere nascono dall’esistere, non dal sopravvivere in un circuito di comprovate stimolazioni prive di sbocco.
Spesso è solo con un trauma, con la morte anche solo metaforica, con un punto di rottura consistente, che ci riappropriamo degli interrogativi che contano realmente. Riemergere nel mondo che conosciamo è la fine della nostra esistenza, rappresenta un comeback.
Ho come l’impressione che i più bei film della mia vita abbiano questa qualità: equivalgono a un trauma reale, ci lasciano sprofondare. Ecco perché avevo voglia di continuare ad ascoltare quel rumore assordante, e poi le urla di Karin, l’avvicinamento snello, puro disgelo, tra padre e figlio. Ancora un po’, prima di tornare alla vita di tutti i giorni. Come se avessi paura di non aver metabolizzato abbastanza.
Come in uno specchio è un film senza il quale non potrei (soprav)vivere.


Crossing Over

Traces in snow
A red line grows through and leads me below
Nothing on this side ties me

One step, one glimpse of an eye
One moment can change everything
Wait here 'til my words spread across the sky
And into the chambers of every soul
Invia una mail all'autore del commento Giordano Biagio  04/10/2005 22:56:41Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
OK bel commento.
Crimson  07/10/2005 23:07:08Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Grazie signor Biagio : )