amterme63 8½ / 10 27/11/2010 16:58:44 » Rispondi Con questo film Bergman compie la scelta di intensificare e concentrare la rappresentazione e la riflessione sui suoi temi tipici: la difficoltà di comunicazione e comunione sentimentale fra gli individui, accompagnata dal dolore e dal desiderio di conoscere e rimediare; nonché l'eterno dilemma sull'esistenza di un ente supremo o di una legge eterna che regoli la vita umana di qua e al di là della vita. Intensifica e concentra, perché isola i personaggi dal contesto sociale e li pone proprio su di un isola (la splendida Faro), al cospetto della sola natura (mare, cielo, tramonto, alba, luce, vento, erba, spiaggia, un vecchio relitto) e di una vecchia e suggestiva casa (arredamento essenziale, finestre, porte, scale, stanze vuote e misteriose). I personaggi sono in pratica soli con se stessi e la natura e quindi non possono far altro che riflettere sulla propria esistenza e quella delle persone a cui tengono, sviscerandone tutti gli aspetti, anche i più scomodi, oscuri e reconditi. Alla riflessione sulla (propria) natura umana si accompagna anche quella più generale sull'esistenza e sulla natura della divinità. Il tutto vissuto in maniera molto molto drammatica, fisica, a volte dolorosa e lacerante, certamente assai forte e coinvolgente. L'intensità e la concetrazione si riflettono anche nello stile cinematografico. Le scene si susseguono in maniera più lenta e pacata. L'effetto di teatralità si accentua. A volte la mdp sta ferma su di una scena, mentre i personaggi si spostano, vanno e vengono (emulando la quinta teatrale). Altre volte si concentra sui personaggi e con insistiti primi piani ne mette in risalto la sofferenza e la lacerazione interiore. Altre volte si apre su interni e paesaggi con viste suggestive che creano un'atmosfera poetica e riflessiva. La quotidianità e la banalità diventano delle quinte discrete e sfumate, quasi semplice sfondo, mentre i discorsi diventano complessi, etici e a volte poetici, di aspetto certamente artistico letterario/filosofico/teatrale, non da vita di tutti i giorni. I personaggi sono resi in maniera molto fine e complessa, in tutte le contraddizioni e sfumature. Sono persone a tutto tondo, in qualche maniera "perfette" e fuori del comune, nel loro piccolo rappresentano dei modelli universali.
Il protagonista (un ottimo Gunnar Bjornstrand) è uno scrittore che riproduce un po' lo stato d'animo di Bergman stesso in quegli anni. Preso dalla propria arte e dalla ricerca del successo, fugge dalle responsabilità della vita, nella forma dei propri figli. Sa del proprio egoismo e della propria aridità e ne soffre enormemente (con tanto di tentativo di suicidio). Essere consapevoli vuol dire anche reagire e poter cambiare e su questa speranza si attacca per poter sopravvivere. La figlia Karin (una splendida Harriet Anderson) soffre di una malattia che la porta a uno sdoppiamento della personalità, le fa avere alluccinazioni accompagnate da intensa disperazione e dolore fisico. Sa di dover morire presto. E' lei che cerca spasmodicamente Dìo come bisogno mistico, consolazione, certezza che la sofferenza non è vana, senza però riuscire ad arrivare a una pacificazione. Il dolore diventa la sua ragione d'essere finale, come pure di chi le sta accanto. Suo marito Martin è dottore (un bravissimo Max von Sydow) e rappresenta il razionalista, quello che tiene i piedi per terra ma che soffre di rigidità e freddezza e a volte di eccessivo distacco. Il suo amore non è sufficiente per la grande sete interiore di Karin. Completa il quartetto il figlio Minus, un giovane sensibile, incerto, delicato, insicuro (Bergman da giovane).
Una cosa strana è il fatto che tutti siano affetti da incomunicabilità, mancanza di confidenza e contatto interiore. Eppure tutti provano un desiderio irrefrenabile di confessarsi, di parlare, di sviscerare, di conoscere, di considerare. E' questa capacità di "rendersi conto" il punto fermo, la terra su cui mettere i piedi, la speranza di risolvere e cambiare. Si sa cos'è che non va e forse si conosce anche la soluzione: amare, amare, amare il più possibile, rendere la vita più sopportabile per gli altri. Addirittura questa può essere forse la concreta manifestazione di Dìo sulla terra.