caratteri piccoli caratteri medi caratteri grandi Chiudi finestra

CONCORSO DI COLPA regia di Claudio Fragasso

Nascondi tutte le risposte
Visualizza tutte le risposte
echec_fou     3 / 10  05/09/2005 13:19:35Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
“Concorso di colpa” fa il suo debutto sulla scena cinematografica italiana in questi giorni di fine estate. Vorrebbe essere, ma forse sarebbe più idoneo dire passare per, un “thriller storico-politico”. Per capirci, lo stile vorrebbe evocare
quello di “Piazza delle Cinque Lune” di Martinelli, un genere cinematografico in cui una storia e dei personaggi puramente inventati, vanno ad intrecciarsi con un pezzo della memoria, un po’ dolorosa, degli ultimi decenni della nostra penisola. Tuttavia, in questo caso, il risultato è assai deludente e, per certi versi, un po’ inquietante e deprimente.
La trama si sviluppa nei nostri giorni, ma affonda le sue radici nelle sofferte reminiscenze degli anni della contestazione. A questo periodo infatti, risale l’antefatto che diventa poi il motore di tutta la vicenda: l’assassinio, da parte di cinque giovani militanti di estrema sinistra, di un giovane oppositore politico di estrema destra.
Appena visto l’antefatto, si suppone che voglia trattarsi di un film di denuncia verso l’estremismo politico militante,
solo che si capisce dopo pochissimo, che la tematica viene trattata con scontatezza, pochezza di idee (dal punto di vista cinematografico),soluzioni banali e soprattutto al limite dell’inverosimile. Il tutto viene poi condito, ma questo si capisce solo in seguito, con un pizzico di furbizia politica e ottusa demagogia.
Ma procediamo poco alla volta.
Il commissario Francesco De Bernardi (interpretato da un pessimo pessimo Francesco Nuti, la cui partecipazione emotiva, tra l’altro non minore a quello degli altri attori, potrebbe essere paragonata a quella di un portasaponetta. .Ragion per cui mi sentirei di consigliargli, sempre nell’ambito dell’educazione, di tornare a collaborare in film commedia, visto che almeno lì, interpretando personaggi al limite del mutismo, come il suo “signor 15 palle”, non deve far lo sforzo di recitare, evitando così di balbettare, cosa che invece gli riesce benissimo in questo film) viene incaricato da un magistrato di indagare sulla morte, un presunto suicidio, di uno dei cinque militanti che avevano commesso l’omicidio, 25 anni prima. Pare infatti che questo, sia stato ucciso dai suoi penosissimi sensi di colpa. Lo scopo è riuscire ad individuare i suoi “compagni”. Il film diventa poi tutto un susseguirsi di colpi di scena, che hanno però come risultato solo quello di svelare l’inverosimiglianza della trama. Inoltre i personaggi mancano totalmente di analisi introspettiva e sono completamente disumani: macchine mostruose senza un minimo di coscienza. La sceneggiatura adotta poi il linguaggio tipico dei polizieschi di infimo rango, senza contare il ricorso a metafore visive di dubbio gusto estetico, come quella della partita di scacchi come metafora di quella che dovrebbe essere una fine sfida intellettiva.
Ma non è soltanto questo l’aspetto che determina il mio dissenso. Finora infatti ho parlato unicamente della qualità del film, accennando solo di sfuggita al cuore della questione, all’aspetto che tramuta il mio dissenso in disgusto.
Confesso che sono rimasto praticamente senza parole soffermandomi a riflettere sul messaggio filmico della pellicola, nonché su certe sfumature e allusioni che emergono da un’analisi un po’ più profonda. I quattro “famigerati compagni” infatti, rimasti nascosti nell’ombra per oltre 25 anni, sapete che professione svolgevano?
Il primo, un professore universitario di Lettere e Filosofia, molto vicino ad autori come Flaiano e Pasolini.
Il secondo, un giornalista di prima linea, di quelli che si spingono fino al cuore degli eventi sociali, come gli scontri tra manifestanti e forze dell’ordine, di quelli che mi sento di definire senza mezzi termini “eroi dell’informazione”, a cui dobbiamo coraggiosissime testimonianze di sana e incensurata informazione (si pensi alla troupe capeggiata da Freccero sguinzagliata al G8 di Genova, “una troupe che produrrà –come scrivono Travaglio e Gomez -, con immagini inedite, un eccezionale documentario sulle violenze di frange delle forze dell’ordine contro centinaia di pacifici manifestanti”).
Il terzo, un imprenditore redento, a testimonianza dell’abilità dei contestanti comunisti a nascondersi nei modi più impensati qualora ce ne fosse il bisogno.
L’ultimo, un commissario di polizia, ovvero una carica che dovrebbe farsi incarico di assicurare l’equilibrio sociale.
Ma dite un po’, che razza di messaggio ci volete mandare?
Ognuno tragga le conclusioni che vuole.
Io ritengo che questi aspetti contribuiscano a trasformare la pellicola da un film di denuncia verso l’estremismo politico militante, causa che mi sento di abbracciare pienamente, a un processo per niente obiettivo ad eventi storici (gli anni della contestazione, non certo gli eccidi politici) che credo vadano analizzati in maniera un po’ più approfondita.
Insomma, una monumento di mediocrità analitica e artistica.
Ma non è mica finita qui.
Sapete cosa viene mandato, non appena finito il film, ancor prima dei titoli di coda, forse a testimonianza dell’orgoglio con cui è stato girato il film? Viene trasmesso un testo in cui si informano gli spettatori che il film è realizzato con la collaborazione niente-popò-di-meno-che del Ministero per i Beni e le Attività Culturali.
Chissà quale saranno gli obbiettivi educativi del Ministero? Bah…
Forse però, a questo punto, dovrei ricredermi, su quanto scritto in apertura: questo è proprio un “horror storico-politico”. Fenomeni come questi mi destano non poche paure e non poche preoccupazioni.

Assenzio@75  25/10/2005 23:08:39Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
alla faccia della critica........