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UN MONDO DI MARIONETTE regia di Ingmar Bergman

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amterme63     7 / 10  07/04/2011 21:55:48Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Con questo film mi sono reso conto che Bergman, al termine del suo percorso artistico, è arrivato più o meno alle stesse conclusioni ideali dell'ultimo Bresson: "non ci sono vie d'uscita" all'alienazione, alla falsità dell'essere, non esiste libertà o ribellione possibile, l'unica soluzione praticabile è la (auto)distruzione.
Vivere in maniera razionale e consapevole ha portato l'essere umano a sentirsi solo prigioniero di se stesso. L'uomo si è "liberato" dagli obblighi derivanti dalla credenza in codici ontologici esterni (Dìo, l'anima, le ideologie politiche) ma non ha saputo trovare niente che li rimpiazzasse e che lo potesse guidare, sostenere, dare un senso alla propria esistenza. Ha smesso pure di avere fiducia nei sentimenti umani (amore, solidarietà) e la vita non è diventata che un passivo girare a vuoto, un vano annaspare per esorcizzare gli istinti più turpi e per sfidare il destino.
Anche questo film ripete gli usuali temi e le tipiche forme di quasi tutti i film di Bergman. Qui in qualche maniera vengono portati alle estreme conseguenze ed esauriti una volta per tutte. "Un mondo di marionette" è un film estremamente "teatrale", si volge in maniera claustrofobica quasi tutto in interni, il mondo esterno è lasciato in ellissi, quasi non esiste. E' un film decisamente statico, senza azione, tutto concentrato nello svisceramento della psiche dei personaggi. E' infatti un film dove i dialoghi dilagano e sostituiscono in pratica la trama. Qui veramente si tocca con mano la "degenerazione" del continuo riflettere su se stessi: diventa un'ossessione, un morbo, un dialogo fra monadi irrimediabilmente isolate fra di loro. Non c'è scambio umano, non c'è reazione, è solo succo intellettivo puro, è la ragione che si esaurisce da sola, girando a vuoto su se stessa.
Eppure il film è vivo, le persone soffrono davvero, fanno parte del mondo umano a tutti gli effetti. Il film quindi non è un vuoto esercizio; il suo messaggio lo dà e molto chiaro.
Tecnicamente è poi di alta qualità. La scena iniziale ha una tensione fortissima che attanaglia lo spettatore. Molte scene hanno un fascino visivo straordinario, come ad esempio il dialogo di Tim con se stesso allo specchio (la riflessione sulla vecchiaia) e il fantastico bianchissimo sogno di Peter. Il bianco e nero è stata una scelta azzeccata.
Bergman poi dimostra di non avere paura di mostrare esplicitamente le cose (c'è una scena senza veli degna di un film porno).
La novità più grossa sta però nel montaggio. Prima viene esposto il fatto nudo e crudo e scioccante, poi tramite salti temporali, flashback e flashforward, si completa una specie di puzzle che descrive in maniera esauriente perché è avvenuto il "disastro".
Insomma, Tarantino ha copiato anche da Bergman nel suo "Pulp Fiction".