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DEAR WENDY regia di Thomas Vinterberg

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Beefheart     5 / 10  18/09/2007 18:26:37Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Un dramma esistenziale sulla non-vita degli individui piegati da quel totale anonimato che rende "diversi", deboli, emarginati di periferia. In qualche modo, freaks dei sobborghi dimenticati.
Electric Park, un piccolo agglomerato di abitazioni in un imprecisato luogo d'america, fondato sull'attività estrattiva mineraria, ospita un gruppo di ragazzi che, per tentare di rimediare al nulla delle loro esistenze e dare una spinta ai propri ego, inizia a professare un improbabile culto fondato sull'intimo rapporto con le armi unitamente ad un non-utilizzo effettivo, unicamente finalizzato ad auto-infondersi sicurezza, identità e nobiltà di spirito. All'interno di una miniera dismessa organizzano il loro "Tempio", dove, oltre ad esercitarsi al tiro al bersaglio ed a venerare le armi, ne studiano le caratteristiche e gli effetti; vestendo abiti eccentrici, e seguendo precisi rituali propiziatori, si educano alla disciplina del "Dandie", professando eleganza, sicurezza e "pacifismo armato". Applicandola, danno vita ad una tragica allucinazione che ci parla di vuoto interiore, deriva spirituale, solitudine, isolamento.
Concetti efficaci e notevoli se preservati dalla contaminazione dell'eccesso, dell'inverosimiglianza, della spettacolarizzazione e, trattandosi del "dogmatico" Vinterberg, è il minimo che ci si possa aspettare. In realtà a metà film le buone idee sembrano già scarseggiare e così, mentre il grottesco impera e le assurdità si sprecano, succede che il degenero narrativo irrompe grossolanamente a demolire la seconda parte del film e ad invalidarne la prima.
Viene da dire "peccato!" perchè i presupposti per un buon prodotto c'erano... I giovani attori se la cavano, il soggetto è fertile e la firma d'autore certo non manca. All'atto pratico fotografia e location, sature di quella specie di grezza sciatteria che ve di moda, funzionano abbastanza bene nel trasmettere inquietudine, disagio, smarrimento, angoscia... Peccato che il tutto venga ammorbato da una forzatissima sceneggiatura da aridissimo neo-western-suburbano che tutto fa, furochè conferire senso o fascino ad un prodotto potenzialmente valido. Il geometrico e schematico utilizzo degli spazi ricorda il "Dogville" del collega (qui sceneggiatore) Lars von Trier, ma solo quello. Il resto, purtroppo, è solo un perdibile tentativo di provocazione sensazionalistica.