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DODES'KA-DEN regia di Akira Kurosawa

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amterme63     8 / 10  06/06/2010 10:52:14Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Si tratta probabilmente del più bel film-omaggio a Dostojevskij che sia mai stato girato. A dire la verità non è una trasposizione di opere del grande scrittore (la sceneggiatura è tratta da una serie di racconti di Yamamoto del 1962) ma è piena dello spirito di dolore-solidarietà-ammirazione etica per i deboli-poveri-sfortunati-emarginati che anima intensamente gli scritti del grande scrittore russo.
E’ inoltre un omaggio allo spirito di Fabrizio De Andrè, anche lui convinto che dal “letame nascono i fiori”. C’è poi in tutto il film un’atmosfera disincantata e irreale che fa apparire il film quasi come una trasposizione su schermo di un’opera tipo “Aspettando Godot”. Oltre al forte pathos umano e all’immediatezza del sentire, c’è anche lo stimolo ad astrarre e riflettere sulla condizione umana universale.
E’ quindi un film molto ricco di stimoli etici e sentimentali, quasi assente invece il livello “spettacolare”. La cesura con i film precedenti di Kurosawa è nettissima. Forte forse del contemporaneo cinema intellettuale francese e italiano (la Nouvelle Vague e Antonioni), Kurosawa azzarda la scelta di privilegiare il contenuto sullo spettacolo, evitando qualsiasi compromesso con l’industria del cinema. Solo che chi si è fatto una certa “etichetta” è difficile scrollarsela di dosso. Cambiare improvvisamente campo estetico è un’operazione estremamente rischiosa (vedi “La donna di Parigi” di Chaplin) e anche in questo caso si è risolta in un fallimento.
In effetti si rimane sconcertati fin dalle prime scene, in cui non si capisce per niente dove il film voglia andare a parare. Un ragazzino che si identifica in un tram e percorre un paesaggio fatto di rifiuti e baracche è qualcosa che lascia interdetti. Poi piano piano il film prende quota e si evidenzia la struttura filmica molto originale inventata da Kurosawa. In pratica con Dodes’ka-den Kurosawa ha creato il sistema di racconto a episodi di vita banale e insignificante (ma con valore universale) inframezzati fra di loro in maniera apparentemente casaule. In pratica ha anticipato l’Altman di Nashville e America Oggi.
Il film si svolge esclusivamente in mezzo a queste baracche cadenti e poverissime (con rare puntate nel mondo “civile”) come se questo fosse il “vero” mondo. In questo ambiente estremo di degrado e abbrutimento si trova un’umanità molto ricca e varia, dagli ubriachi alle prostitute, dai caratteri imperiosi e cattivi alle persone umilissime e altruiste, chi sfrutta e chi si sacrifica. E’ un quadro umano veramente intenso, che colpisce tantissimo. Ci sono scene che trafiggono letteralmente l’animo e rimangono molto impresse.
Anche questo film sfrutta la grande perizia visuale “teatrale” di Kurosawa. La disposizione dei personaggi, la loro espressione, il punto di vista della cinepresa, il gioco di luci e ombre è studiato in maniera maniacale. A questo si aggiunge il colore, che Kurosawa tratta come un oggetto da plasmare e creare. Quindi non è una proprietà intrinseca dell’immagine ma una creazione artistica. Molto bella anche la colonna sonora.
Questo è il punto di vista dell’amante dell’arte. C’è da rivelare che il ritmo è molto lento e prevale la contemplazione sull’azione. Quindi l’attenzione è un fatto di volontà più che di istinto. Questo può ingenerare noia e rifiuto (io stesso ogni tanto ho provato lo stimolo allo sbadiglio). Capisco quindi il fatto che questo film si sia risolto in un grande insuccesso.
Detto questo, però, c’è da dire che se preso per quello che è (uno stimolo a riflettere sui veri valori dell’esistenza umana) è un’opera che regala belle emozioni.