caratteri piccoli caratteri medi caratteri grandi Chiudi finestra

I SEGRETI DI WIND RIVER regia di Taylor Sheridan

Nascondi tutte le risposte
Visualizza tutte le risposte
kafka62     7½ / 10  23/04/2018 19:34:23Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
"In questo paese o si sopravvive o si soccombe", dice Cory a Jane visitandola nell'ospedale dove è ricoverata, sottintendendo che se la ragazza è viva al termine delle peripezie affrontate il merito è esclusivamente della sua forza di volontà e del suo spirito di sacrificio, e non certo della fortuna. Il paese in questione è il Wyoming, che la pellicola di Sheridan ci mostra nella sua versione più fredda e inospitale, sommerso dalla neve, con temperature talmente fredde da far letteralmente scoppiare i polmoni ("non vi hanno avvisato che è arrivata la primavera?", domanda ironicamente l'agente FBI, presentatasi sul luogo del delitto con un abbigliamento che definire inadeguato è a dir poco un eufemismo) e abitato da gente ruvida e coriacea, abbrutita dalla solitudine e dal male di vivere. Oltretutto, cosa non secondaria, la storia ("basata su fatti veri" si legge all'inizio del film) è ambientata in una delle riserve indiane del nord degli Stati Uniti, luoghi poco frequentati dal cinema e dalla letteratura americani (mi viene in mente solo Louise Erdrich, vincitrice del National Book Award nel 2012 con "La casa tonda"). Un grande merito va pertanto riconosciuto a Taylor Sheridan, giunto alla sua opera prima da regista dopo aver realizzato due importanti sceneggiature ("Sicario" e "Hell or High Water"), il quale ha sì messo in scena un giallo abbastanza convenzionale (basato sulla ricerca del colpevole della morte violenta di una ragazza, trama già vista una miriade di volte al cinema), ma lo ha fatto in maniera innegabilmente originale e sincera.
Ogni dolorosa vicenda del presente ne riecheggia a sua volta altre, analoghe, avvenute nel passato, e il desiderio di giustizia si confonde inevitabilmente con quello di vendetta. Quello che conta non è tanto trovare il colpevole, ma esorcizzare una violenza che pare quasi connaturata fatalisticamente al paesaggio (e dove non sono gli omicidi, c'è la droga ad annientare il futuro dei giovani nativi, la cui unica speranza, peraltro negata alla radice come in una tragedia antica, è di andare via da quei posti, di fuggire lontano, come fantasticano Natalie e Matt nel flashback che anticipa il dramma). I forestieri, come l'agente dell'FBI incaricata del caso, sono dei pesci fuor d'acqua, tanto lontane e incomprensibili sono le regole di vita di quei luoghi arcaici da quelle apprese nei loro paesi d'origine. Spetta pertanto a Cory, che di professione fa, quasi simbolicamente, il cacciatore di predatori, risolvere il giallo, sostituendo alla legge dei tribunali quella del contrappasso. Ed è sempre di Cory la morale del film, e cioè che il dolore per ciò che si è perduto non va cancellato (con l'alcool, la droga, l'oblio) bensì accettato in toto per riuscire a conservare il privilegio più grande per un essere umano, quello dei propri ricordi, del proprio passato, del proprio eden perduto.
Quella di Sheridan è indubbiamente una prova d'autore compiuta e matura, che se da una parte ci mostra un'America inedita, cinematograficamente pochissimo sfruttata (mi viene in mente "Un gelido inverno" di Debra Granik o "Frozen river – Fiume di ghiaccio" di Courtney Hunt), talmente lontana dai polizieschi metropolitani newyorkesi o losangelini da sembrare ambientata in un'altra epoca o in un altro emisfero, dall'altra cita giudiziosamente i numi tutelari del cinema contemporaneo ("Il silenzio degli innocenti" nella scena a comprensione ritardata in cui l'agente bussa alla baracca di Pete, o addirittura "The hateful eight" di Tarantino nell'adrenalinica sequenza in cui poliziotti e lavoratori dell'impianto petrolifero si fronteggiano armi in pugno, tutti quanti tenendosi sotto tiro a vicenda). Sheridan sfrutta benissimo le caratteristiche del paesaggio nordamericano, raffreddando, tra solitarie corse in motoslitta e tormente di neve, gli elementi thriller ed esaltando per contro gli aspetti etici e filosofici che percorrono carsicamente la storia, in una pellicola sobria e rarefatta (in cui a prevalere, va da sé, sono i campi lunghi, oppure i dialoghi tra personaggi ripresi di profilo che non si guardano negli occhi), che si candida fin da adesso tra le migliori dell'anno.