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IL SACRIFICIO DEL CERVO SACRO regia di Yorgos Lanthimos

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marcogiannelli     8½ / 10  12/09/2018 15:50:33Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Userò spezzoni di una recensione non mia, ma che mi sento di citare perché è tale e quale alla mia visione:
"Shining rimane il più grande riferimento del Cervo Sacro. La prima scena all'Ospedale ad esempio è praticamente identica all'indimenticabile steady-cam che seguiva Danny nell'Overlook Hotel. Questi corridoi, queste svolte di lato, questo seguire i personaggi in questo inquietante dedalo.
Ho notato almeno 3 pezzi in colonna sonora praticamente identici a quelli celeberrimi del film con Nicholson. Uno in particolare, quello con quella specie di violino "sgraziato", avrei giurato fosse lo stesso. Ma sono evidenti, direi espliciti, gli omaggi di Lanthimos a quel film e a Kubrick tutto.
Impossibile non associare le scene della Kidman, specie quelle in camera, ad Eyes Wide Shut ad esempio. Stesse inquadrature, stessa atmosfera, e lei praticamente identica.
Ma oltre a tutti questi riferimenti diretti che vi ho citato l'elemento che più mi ha fatto accomunare i due registi è l'uso degli interni. Vedete, Kubrick era uno che riusciva a rendere una stanza un personaggio. L'uso delle inquadrature, la scelta delle stanze, il nitore della composizione, l'ordine assoluto della messinscena, facevano sì che quasi tutti i suoi interni ci restassero nella memoria quasi o come gli stessi personaggi. E la stessa cosa l'ho notata in questo film, in cui ogni inquadratura d'interni, ogni composizione, mi sembrava kubrickiana. Tanto che nei miei ricordi l'ospedale, la casa di loro, la stanza della conferenza, il caffè e altri spazi mi sono rimasti dentro quanto i personaggi e il loro interagire.
Parliamo un secondo di lui, di Barry Keoghan, straordinario protagonista del film. Il giovane attore irlandese ci regala un ragazzo disturbato, inquietante, apparentemente docile e remissivo ma in realtà al confine del demoniaco. Il suo sguardo è pazzesco, la sua calma insopportabile, roba che vorresti prenderlo a schiaffi dalla mattina alla sera. Pensavo "o.k, c'ha sta faccia da *****, è molto bravo ma semplicemente il ruolo gli si addice". Poi, però, l'ho ricordato in Dunkirk dove interpretava un personaggio completamente diverso e che ci regalava emozioni completamente diverse, come dolcezza, empatia e persino dolore. E allora posso dirlo, grandissimo attore.
Il ragazzo sta vedendo insieme a sua madre e a Farrell un film, "Ricomincio da capo" con Bill Murray. Mentre i nostri protagonisti interagiscono tra loro si sente Murray che, nel film, dice:
"Non ho detto di essere Dio, ho detto di essere UN Dio".
Ecco, io in questa frase che ho captato ci ritrovo quasi tutta l'anima del film. E non mi riferisco solo al concetto di politeismo che richiama l'Antica Grecia ma al ruolo di Martin stesso. Del resto lo stesso ragazzo lo presenta come suo film preferito e se Lanthimos c'ha scelto quella scena un motivo deve esserci. Io credo che in questo film Martin rappresenti un dio dell'Olimpo. Del resto, riprendendo il mito, è "a lui" che deve essere sacrificato qualcuno, per riparare al danno subito, la morte del padre.
In realtà il film è da prendere in senso metaforico, se qualcuno commette un errore poi, in qualche modo, forse per mantenere la stessa armonia del mondo, deve pagar pegno con la stessa moneta.
Pensiamo anche alla scena del morso, quella che lo stesso Martin definisce come metafora di tutto. Lui morde Farrell e, allora, per riparare l'"offesa", deve mordere anche sè stesso, anche con più violenza (perchè il "reo" iniziale è quello che deve pagarla più caramente, è lui la causa di tutto).
Tornando al chirurgo è comunque un personaggio molto complesso. Agisce solo per senso di colpa, ma un senso di colpa probabilmente più terreno, non sovrumano. Tanto è vero che malgrado mille evidenze lui proverà sempre a dare una risposta scientifica a tutto, a non credere nel sortilegio, a non ritenere possibile che quel meccanismo di debito e colpa di cui abbiamo parlato abbia matrici così trascendentali.
E la cosa più strana è come ad un certo punto questo concetto del senso di colpa colpisca entrambi i suoi figli. Sia il bimbo che la ragazzina, infatti, verso la fine del film iniziano a scusarsi coi genitori di qualsiasi cosa, anche piccolezze. Il bimbo ad esempio di non aver tagliato i capelli, la sorella di avere un pò alzato la voce in ospedale. E' come se loro "ereditassero" il senso di colpa del padre e pensassero di essere in quella condizione per delle loro mancanze.
E, anche se il film, come tutti i Lanthimos, è quasi assolutamente solo cerebrale (ripeto, il cuore pulsante dell'inizio è l'unico che batte) questa cosa è abbastanza struggente. E diventa talmente parossistica da portarci ad una scena quasi assurda, quella in cui la figlia, con un lessico forbito, innaturale, da letteratura (miti greci) vuole convincere appunto il padre che è lei a dover essere uccisa.
Tra l'altro, sempre restando al senso di colpa, passano forse sottotraccia ma io ho trovato importantissime due frasi. E sono quelle di Farrell secondo cui "un chirurgo non uccide mai, lo fa l'anestesista semmai" e quella, opposta, del suo anestesista "solo i chirurghi uccidono".
Lanthimos, al solito, ci racconta di rapporti interpersonali freddissimi, in cui avvengono dialoghi monocordi e banali (splendida la scena del purè di patate, quasi una "critica" all'intera filmografia lanthimosiana), in cui non ci sono mai veri slanci di vita, in cui l'educazione è ferrea e piena di regole (il prato, il cane).
E, come sempre, ci sono alcuni riferimenti al sesso, ma un sesso mai bello, sempre stanco, sbagliato (la sega al padre nei ricordi di Farrell, quella della Kidman all'anestesista, il suo fingersi morta per eccitarlo), un sesso che pare, come in tutti gli altri suoi film, qualcosa di incidentale, che capita.
La regia è solida, granitica, elegantissima e senza mai una sporcatura. C'è la god view del bimbo che crolla in fondo alle scale mobili che è pazzesca.
La colonna sonora è invadente, onnipresente, fastidiosa e, per questo, magnifica. Perchè è proprio il fastidio, l'inquietudine, quello che ti regala questo film. Un film che ti emoziona poco, che va tutto nella testa e, per questo, non si ha subito la percezione di eventuale capolavoro.
In realtà un personaggio che non sarebbe cerebrale c'è, ed è quello della figlia. Lei sa cantare, lei sa piangere, lei sa avere aspirazioni, lei ha sogni, lei ha voglia di innamorarsi. E' un personaggio vivo, romantico, ma messo in un contesto che non le appartiene. E il suo rapporto con Martin, è forse la cosa più difficile da leggere di tutto il film. Questa attrazione non se ne andrà mai via. Non si sa se è una fascinazione per il male, se rappresenta il legame "ancestrale" del mito (il Dio e la Vergine, alla fine era lei quella che avrebbe dovuto essere sacrificata) o è, semplicemente, la cosa più facile e bella che possa esserci, il puro innamoramento umano.
Ma per chiudere voglio andare agli spaghetti. Martin scopre che il suo modo di mangiarli, che lui riteneva speciale, è quello che usano tutti. Scoprire questo, dice lui, gli ha fatto più male della stessa morte del padre. Forse è questo quello che accade quando un essere che si sente diverso, sopra gli altri, divino, si rende conto di quello che in realtà è, o quello che tornerà, ovvero un comune, insignificante, essere mortale"