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BEN-HUR (1925) regia di Fred Niblo

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Dom Cobb     8 / 10  11/04/2018 17:42:45Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Al tempo della predicazione di Gesù, il principe giudeo Giuda Ben-Hur viene tradito dal suo amico d'infanzia, il tribuno romano Messala, e imprigionato con tutta la sua famiglia. Inizierà per lui un'epica odissea per reclamare la sua vendetta...
Il romanzo del generale sudista Lew Wallace è diventato in breve tempo uno dei più popolari del suo tempo, ma al giorno d'oggi la vicenda narrata deve la sua enorme popolarità presso il grande pubblico alle varie trasposizioni filmiche derivate da esso, al punto che viene da chiedersi quanti al giorno d'oggi sono al corrente dell'esistenza stessa del libro originario.
Con questa versione della metà degli anni '20, si ha già una buona idea di cosa abbia causato tanta popolarità sul grande schermo: si tratta del primo prodotto della neonata Metro-Goldwyn-Mayer, realizzato nel bel mezzo della fusione tra le varie società; dopo aver sofferto una produzione travagliata e ricca di controversie, divenne il campione d'incassi di quell'anno, permettendo alla company di sopravvivere, e ad oggi viene visto come l'apice tecnico ed espressivo del cinema muto in quel di Hollywood. Dopo averlo visionato, mi viene difficile disapprovare.
Indubbiamente, qui stiamo parlando di gargantueschi passi avanti rispetto alla precedente versione, un'opera capace anche di prevaricare i kolossal che Cecil B. DeMille produceva in quegli anni. Alla regia troviamo, accreditato in solitaria, ma in realtà coadiuvato da tanti altri, Fred Niblo, che si era fatto le ossa dirigendo alcuni dei migliori exploit avventurosi di Douglas Fairbanks, e fra i vari assistenti vi è anche un giovanissimo William Wyler, il cui nome forse vi dirà qualcosa. Niblo non è un nome conosciuto, ma dopo aver visionato molti dei suoi lavori è affascinante come esso si sia evoluto nel corso di pochi anni: se ne "Il segno di Zorro" con Fairbanks si limitava a mantenere un'impostazione estremamente teatrale, con lunghe riprese a camera fissa e prevedibili usi del montaggio, gradualmente questa legnosità si perde, e in Ben-Hur troviamo tali e tanti cambiamenti stilistici che risulta difficile immaginare che si tratti dello stesso regista.
In effetti, tralasciando i costumi e le scenografie, per l'epoca davvero imponenti e che perfino oggi fanno ancora la loro bella figura, è la regia il piatto forte di questo film: essa è capace di valorizzare ogni singolo set con arditi movimenti di camera e coraggiose angolazioni, sottolineando l'incredibile sforzo tecnico dietro ad alcuni dei momenti più spettacolari.


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A questo si aggiungono alcuni tocchi di stile molto peculiari, come un paio di scene realizzate in una versione non rifinita di Technicolor a due colori, tocchi che coincidono con l'apparizione della figura del Cristo e dunque volti a creare un'atmosfera particolarmente mistica. Per il resto, inutile parlare di performance: sebbene sia di gran lunga più professionale e contenuta rispetto al predecessore, la recitazione è quello che è, teatrale e figlia del suo tempo privo del sonoro.
Perciò si può dire che, nel bene e nel male (sempre che di male si possa parlare), "Ben-Hur" si conferma essere una summa di tutte le tecniche e convenzioni usate all'epoca del cinema muto, un autentico testamento di un'epoca che, nel giro di pochissimi anni, sarebbe stata travolta dall'arrivo del sonoro e, di conseguenza, estinta.