Ciumi 9 / 10 22/08/2009 13:18:32 » Rispondi E’ tutto riassunto nell’isterico “chicchirichì” del finale - con l’uomo, docente rispettabile, reso ridicolo e disprezzabile, implicato in quel mondo di frivolezza che è quello dello spettacolo, degradato al ruolo di pagliaccio, umiliato pubblicamente davanti alla sua città - il fascino obliquo di questa sconvolgente pellicola di Von Sternberg. Espressionismo senza compromessi, nell’uso enfatico delle ombre, nel grottesco delle maschere, nell’inclinazione delle inquadrature e nel barocchismo che troverà il suo apice in opere successive (“L’imperatrice Caterina” soprattutto) e che anticiperà di qualche anno quello di Welles. Mai la storia d’un uomo rovinato e divenuto succube dell’amore d’una donna - la Dietrich, nuova icona della diva di Hollywood - sarà più rappresentata con tale tragicità. Dopo “Aurora” di Murnau (dove la donna adescatrice era meno reale e più metaforica) e “Lulù” di Pabst, “L’angelo azzurro” chiude una prima ideale trilogia sulla figura della femme fatale, simbolo dell’emancipazione delle donne (che probabilmente ai maschietti cominciava già a fare paura) e delle nuove tentazioni “demoniache” delle grandi metropoli occidentali.
Nel finale, drammaticissimo, il professore distrutto e trasformatosi in una specie di mostro, va a morire sopra la sua rimpianta cattedra, in un’aula buia ed evacuata ormai da tempo.