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NIENTE DA NASCONDERE regia di Michael Haneke

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kafka62     7 / 10  25/02/2018 18:06:21Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Georges Laurent, affermato conduttore televisivo, uomo colto e benestante con famiglia borghese modello, riceve un giorno una videocassetta anonima in cui si vede l'ingresso della propria abitazione e che ingenera in lui l'inquietante sospetto di essere spiato. A questa prima videocassetta ne seguono altre dello stesso tenore, insieme a disegni e cartoline. Haneke mette subito lo spettatore in medias res, senza preamboli, calandolo in un anomalo thriller senza colpevole; o meglio, il colpevole c'è, ma esso alla fine altri non è che l'apparente vittima. Infatti l'anonima persecuzione fa riaffiorare nella mente del protagonista ricordi di infanzia da lungo tempo rimossi, e in particolare la figura di un bambino algerino che i suoi genitori volevano adottare, e che invece lui, con false accuse, condannò all'orfanotrofio, rovinandogli la vita. Haneke, come ben sa chi conosce il suo cinema, non si preoccupa troppo della verosimiglianza (in Funny games faceva addirittura tornare indietro la pellicola, cancellando letteralmente la morte di uno dei due giovani teppisti), non si cura che alla fine tutto torni, e difatti in Niente da nascondere egli non dà (non vuole dare) un nome e un volto all'autore delle videocassette. Il regista frustra abilmente le attese più ovvie dello spettatore, la cui attenzione era stata all'inizio catturata con l'avvincente mcguffin giallo, lo getta di colpo in un film completamente diverso, ossia la storia di uno scavo nel passato scabroso di un uomo e negli scheletri nascosti nei suoi armadi (e metaforicamente in quelli di un'intera nazione, colpevole di una sciagurata politica colonialista in Nord-Africa), e tutto questo lo fa con un'impietosa e quasi sadica crudeltà psicologica, che non si ferma neppure di fronte alla impotente visione di un suicidio in diretta e all'imbarazzante colloquio con il figlio della vittima, Majid (che altri non è che il bambino che Georges molti decenni prima aveva infamato). A parte queste scioccanti e sorprendenti sequenze, il film si compone per lo più di lunghi piani sequenza, di tempi morti e di dialoghi reticenti: in questa scelta stilistica anti-spettacolare sta a mio avviso il senso più profondo e paradigmatico del film, ossia lo scarto tra ciò che si vede in superficie e tutto quello che invece sta dietro lo specchio, il passato rimosso, le colpe dimenticate, le responsabilità negate (in questo senso il simbolico artefice delle riprese ben potrebbe essere individuato, religiosamente parlando, nella coscienza, o, freudianamente, nel subconscio, e la prossima vittima-colpevole, come sembra suggerire l'ultima sequenza davanti alla scuola di Pierrot, essere addirittura il figlio, emblema di una generazione che si porta addosso il peccato originale dei padri).