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SYRIANA regia di Stephen Gaghan

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Skorpio     9½ / 10  19/06/2008 19:32:38Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Molti hanno accolto questo film come l’ennesimo lungometraggio antibush. Moltissimi poi, come l’ennesimo lungometraggio antiamericano. Tutti infine,. Come l’ennesimo lungometraggio che critica l0operato della CIA.
Personalmente ritengo che nessuna di queste tre attribuzioni renda giustizia a Syriana.

Prima di addentrarmi nei contenuti, vorrei fare una menzione a mio parere doverosa sul lato tecnico. Un montaggio magistrale, che sfuma senza pietà le storie una dentro l’altra approfittando di una sceneggiatura eccezionale, in cui ogni dialogo avviene dopo o prima di un punto essenziale dell’intreccio che non viene però mostrato in modo esplicito, e lo spettatore resta a dover comprendere che cosa sia appena successo o che cosa stia per accadere senza che gli venga servito su un piatto d’argento ma soltanto suggerito, come nella realtà spesso avviene quando un sospetto diventa poi un pensiero e poi una preoccupazione e infine quasi una certezza tanto che al momento in cui cala la scure sai già, già sapevi.
E poi una musica che non concede sconti né requie e sottolinea ogni passaggio senza anticipare troppo, senza dimenticare nessuna sfumatura emotiva.
Un cast veramente d’eccezione, con l’abusato Matt Damon che però regge, regge alla perfezione, un occasionale William Hurt da brividi, l’inquietante anima nera del potere Christopher Plummer e poi una lunga, lunghissima galleria di personaggi intensi e centrati tra cui non posso non citare Alexander Siddig, perfetto nel suo ruolo di primogenito scomodo dell’Emiro. E ad ultimo il tormentato e scrupoloso agente della CIA che è valso un Oscar meritato a George Clooney.
E ora, finalmente, i contenuti.
Il film racconta le storie intrecciate ed intricate di quattro personaggi: un agente della CIA, un giovane avvocato di colore, un consulente finanziario d’alto livello e un giovane immigrato pakistano nel golfo persico. Le loro vite concorrono a tracciare un disegno, anche se nessuno tra essi ha mai occasione di conoscere gli altri. Ciascuno di loro ci porta a osservare un aspetto, un lato di una situazione complessa quale è oggi il mondo in cui viviamo, ovviamente da punti di vista profondamente diversi e distanti e parziali. Ma tutti questi sguardi lasciano allo spettatore un quadro coerente, connesso, globale – in cui nulla inizia e finisce in solo angolo del mondo. Tutto riguarda tutti e cercare di controllare la situazione è una follia, una illusione. Persino per chi sembra farlo, persino per chi sembra comandare tirando le leve del potere ogni esito è fortunoso, casuale, incidentale. E tutti sono colpevoli, nessuno è salvo. Non importa se si hanno tante o poche scelte, se si è ricchi o poveri, se le intenzioni erano nobili o spregevoli: il sistema ciecamente procede nella somma di ogni fattore, di ogni spinta e alla fine nulla è cambiato, e nulla è uguale a prima.

La CIA non è il grande cattivo. Al massimo è la stupidità, la banalità del potere esecutivo al servizio di chi paga. Ma neppure l’avvocato ombra dei petrolieri è veramente il grande cattivo: è soltanto un vecchio sopravvissuto, che si pasce dei cadaveri di ideali, che segue schemi rodati, e che si spaventa e fa marcia indietro quando bussano direttamente alle sue finestre. L’agente in rivolta non sceglie un’etica, ci viene forzato coltello alla gola. Ha ucciso e fatto uccidere senza domande fino a poco prima, professionista e letale nel suo ruolo, e cade ingenuo e imbranato nel cercar di disfare quel che ha fino ad allora compiuto, finendo solo con l’aiutare chi voleva ostacolare. L’avvocato che sembrava pecora timorata si rivela leone feroce, capace di sacrificare la vita degli altri senza scrupoli, e anche lui non ha mai scelta, solo quella di farsi tagliare la testa o di impugnare a sua volta la scure. Il giovane consulente poi vive il dramma più intenso e meno profondo: creare virtuosità dal marciume, arricchirsi consigliando ciò che è giusto fare, in posizione privilegiata. Ma dover ringraziare il lutto più grande per tutto questo. Doverci perdere il nido, inseguendo un sogno che non può e non deve diventare reale, perché prima che la corona sia data c’è il fuoco a bruciare ogni cosa e lasciarlo attonito e stordito a barcollare in cerca di ciò che resta del suo passato. E forse il peggiore dei drammi raccontati, quello di chi ha già perso tutto ciò che poteva perdere, cacciato sul fondo del pozzo della sua anima a calci e senza pietà, per poi esser curato con miele e odio e imboccato pian piano ad affetto e veleno finché non è pronto a sacrificare l’unica cosa che resta di lui: una immagine in tv, che spiega cosa desidera accada al suo funerale.

Non c’è un grande cattivo. Non c’è qualcun altro cui dare la colpa, anche se tutti ne vorrebbero uno.
Tutti, siamo cattivi.
Il mondo è ciò che siamo, tutti quanti.