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SULLA MIA PELLE (2018) regia di Alessio Cremonini

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genki91     7½ / 10  18/09/2018 17:26:20Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Come hanno già detto in tanti, un film duro, ma necessario.

Alessandro Borghi è la cosa migliore che sia capitata negli ultimi anni al cinema italiano, insieme a Luca Marinelli. Non a caso i due formano una coppia perfetta nell'ultimo lascito di Claudio Caligari, "Non essere cattivo".
Borghi è viscerale, rende difficile anche allo spettatore più temerario guardarlo intensamente per tutto il film. Non un pugno allo stomaco, ma una discesa negli abissi, annaspando. L'atmosfera è lugubre, sudicia, spietata, insofferente. Non c'è speranza. Mai.
La regia, affidata ad un attento Alessio Cremonini, è estremamente curata e fa di primi piani e dettagli necessari i punti cardine del racconto. Non mostra mai la scena delle percosse. Preferisce concentrarsi in maniera disturbante sul declino fisico di Cucchi mentre è affidato alle autorità.

Il film non parla di buoni e cattivi, non è ingenuo, non scade in beceri cliché. È un racconto che non rappresenta sullo schermo tanto la brutalità degli agenti in divisa, quanto invece la magnanimità di coloro che si dissociano da questo comportamento.
Sono in molti, gli uomini di legge che chiedono a Cucchi di spiegarsi, di raccontare cos'è successo, di parlare, di accettare le cure. Delle richieste che Stefano rifiuta fermamente ogni volta. Forse perché non vuole cedere ad un sistema che l'ha incastrato per dei reati di cui sa di essere colpevole, ma che lo condanna al di fuori delle proprie regole, quelle regole che per i tutori della legge dovrebbero essere sacre come i comandamenti per un sacerdote.

La pellicola si basa su atti processuali e testimonianze e non credo avrebbe visto la luce qualora ci fossero stati gli estremi per oscurarlo.

Ogni sistema ha degli attori che agiscono al di fuori delle regole.
L'istituzione che rappresenta la giustizia non fa eccezione. Perché non si parla di buoni e cattivi. Si parla di uomini. Si parla di sentimenti forti, ma estremamente umani. Rabbia, insofferenza, delusione. Odio. Per dei comportamenti, per delle idee, che si riflettono sugli individui.

"I medici e i periti non hanno ancora trovato una spiegazione scientificamente condivisa sulla morte di Stefano Cucchi", cita una delle ultime didascalie.
Una didascalia che potrebbe valere per migliaia di altri casi di malagiustizia.
Stefano è solo l'ennesimo, non è stato il primo, non sarà l'ultimo.
Come non è stato il primo Giuseppe Uva.
Come non sarà l'ultimo Federico Aldrovandi.
Uomini sfortunati, per quanto colpevoli.
Colpevoli dei loro reati, punibili secondo legge, sfortunati nell'esser caduti fra le braccia dei loro carnefici. Nelle braccia di chi dovrebbe proteggere e invece uccide. Ma il film non fa martiri, né carnefici. Non santifica Cucchi. Non condanna le autorità in senso generale. Non vuole la gogna, attiva un senso di responsabilità.

Testimonia una situazione nascosta, dimenticata, invisibile. Testimonia il marcio che c'è fra l'integro. Testimonia gli abusi di un sistema. Quegli abusi che senza un aiuto dall'interno, non potranno mai avere fine.
È un film che parla del buio dell'anima, dell'umanità. È un film di cui andare estremamente orgogliosi.


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