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IL GRANDE DITTATORE regia di Charles Chaplin

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Dom Cobb     10 / 10  21/06/2018 00:13:07Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Un timido e lievemente imbranato barbiere ebreo ritorna in patria alla fine della Prima Guerra Mondiale, dove nel frattempo si è instaurata una dittatura sotto la guida del folle megalomane Hinkel. La perfetta somiglianza fra il dittatore e il barbiere si rivelerà cruciale nel decidere il destino dell'intera nazione...
All'epoca dell'uscita di questo film, così tanto eppure così poco tempo sembra passato da quando, nella seconda metà degli anni Dieci, un giovanotto membro della compagnia produttiva di un tal Mack Sennett sceglie di indossare pantaloni trasandati, bombetta e baffi finti come creazione dell'ultimo secondo per un personaggio in uno dei tanti corti realizzati all'epoca. Quello che iniziò come un caso si tramutò in pochissimo tempo in un'icona, un simbolo di bontà, innocenza e genio ancora conosciutissima e altrettanto amata ancora oggi da chiunque abbia anche solo un briciolo di buon gusto. Chi poteva immaginare, ai tempi di quei primi corti, che quello stesso uomo avrebbe raggiunto due decenni dopo tali vette di eccellenza da costituire una pietra miliare nella storia della settima arte, da lasciare una traccia indelebile e di ispirazione non solo per future generazioni di cineasti, ma anche di future generazioni di persone, uomini e donne comuni di qualsiasi provenienza e casta sociale? Pochissimi, anzi, quasi nessuno, è capace di dichiarare tanto di sé, e il maestro Chaplin è uno di quei pochi.
E questo "Il grande dittatore", opera con la quale il maestro approda finalmente al parlato, è quella vetta. "Tempi moderni" ci era andato vicino, ma qui si va oltre. La vicenda del barbiere e del dittatore incarna tutti gli elementi che hanno fatto il successo di Chaplin e del suo cinema e li porta all'estrema perfezione, sia formale che contenutistica, arricchendoli di sottotesti politici di rara intelligenza e affrontati in una maniera diretta, eppure anche delicata, che non verrà mai ripetuta con la stessa efficacia.
Il meccanismo imbastito da Chaplin è perfetto, e per certi versi costituisce una summa di tutti gli aspetti della filosofia del grande cineasta e delle tecniche apprese nel corso di due decenni e mezzo di esperienza cinematografica: fin dall'inizio si susseguono sequenze che vanno dalla commedia slapstick tipica del cinema muto in cui il maestro ha le sue radici,


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alla graffiante e spietata satira politica, che si avvale fino all'ultimo dell'arma costituita dal sonoro,


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passando per gli inserti più drammatici ed altri dove la narrazione visiva tocca vertici di metafora e allegoria spiazzanti nella loro diretta semplicità.


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C'è poco da dire, per il resto, che altri già non abbiano detto prima: ogni singola scena del film, dall'inizio alla fine, è nota e conosciuta a tutti, e l'abilità con cui Chaplin mischia e alterna i vari registri senza mai colpire una nota stonata è un modello rimasto imbattuto ancora oggi, quasi ottant'anni dopo. E che dire, poi, dello struggente e indimenticabile discorso finale, un monologo appassionato in cui, per la prima volta forse, Chaplin mette fine ai giochi e getta la maschera, rivolgendosi direttamente agli spettatori non come il personaggio del barbiere, ma come sé stesso. Una disperata esortazione a ricordare chi e cosa siamo, di cosa siamo capaci e di cosa dovremmo evitare di essere capaci, un appello alla parte migliori di noi stessi che rimane tuttora per lo più inascoltato.
Con "Il grande dittatore", non si ha soltanto la più grande opera di satira politica mai creata, ma in generale uno dei pinnacoli della settima arte e di ogni arte di tutti i tempi. Qualcosa che ci parla e il cui messaggio, non importa quanto tempo passi, rimane oggi e rimarrà in eterno pericolosamente, schiacciantemente e inevitabilmente attuale. E con questo non saprei che altro aggiungere.


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