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IL VAMPIRO (1932) regia di Carl Theodor Dreyer

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amterme63     8 / 10  23/02/2009 18:12:03Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Ho cercato di giudicare il film senza pensare che a dirigerlo era Dreyer. In effetti è un film piuttosto scarso nella sceneggiatura. Si ispira liberamente al racconto Carmilla di Sheridan Le Fanu, famoso perché il vampiro è rappresentato da una donna. Il film fa però riferimento più in generale alla tradizione del racconto gotico, in cui non si bada molto alla verosimiglianza o ai particolari prosaici della storia narrata. L'importante è indurre nel lettore/spettatore un senso generalizzato di inquietudine, uno stato mentale di insicurezza e terrore. Lo spunto viene dalle numerose falle che offre il sistema razionale di vedere il mondo. Tante cose sfuggono o possono esistere al di là di ogni logica spiegazione. Tanto più che il peso di credenze tradizionali vecchie di millenni si fanno sentire sull'immaginario collettivo.
Ecco allora che vediamo entrare ed uscire di scena personaggi quasi inesplicati, che esistono solo come figure di una storia. Il senso di luogo e tempo si fa molto vago. In quanto tempo si svolge la storia? In una sola notte? Insomma tutti i punti di riferimento razionali vengono meno e si ha quasi un senso di smarrimento e di perdita di coordinate logiche. Forse un po' troppo, perché alla fine diventa tutto quasi automatico e fin troppo semplice.
La storia in sé quindi non convince e lascia quasi delusi. Quello che non delude è però la resa visiva ed emotiva, sicuramente di prim'ordine. Intanto c'è un consapevole rallentamento dell'azione e dei movimenti dei personaggi per intensificare le sensazioni nello spettatore. Qualsiasi immagine, qualsiasi oggetto, qualsiasi fotogramma parla, dice qualcosa, comunica soprattutto incertezza, mistero, timore (un contadino con la falce, ombre nella bruma, oggetti e arredamenti strani, le conversazioni ridotte all'osso, il silenzio imperante). Le disgrazie, le sciagure inserite in questo contesto assumono quasi un significato metafisico, sono come prove che nel mondo esistono forze negative, maligne, distruttive e che bisogna farci nonostante tutto i conti.
Il film ha il suo culmine in alcune scene in cui ci si cala in soggettiva in situazioni determinanti anche nella vita reale, come ad esempio un funerale o l'avvicinarsi della propria morte. Qui veramente ci sentiamo come una persona in una bara o un malato che si sente venir via. La resa è veramente strabiliante. Al di là quindi dell'esito quasi lieto che ha il film, rimane comunque addosso appiccicato uno strano stato d'animo di sospensione che dura per un po' di tempo dopo la visione del film (almeno a me è capitato di seguire per un minuto tutto con lentezza e vedere gli oggetti con occhio inquietato). E' In questa capacità di trasmettere forti messaggi con mezzi molto semplici ed essenziali che si vede la mano del maestro.
Per il resto il film risente purtroppo del fatto di essere stato girato con pochissimi soldi. Dreyer non ha potuto curare tutto come voleva. Tra l'altro ha dovuto ingaggiare come protagonista proprio il mecenate che ha permesso il film (Julian West è lo pseudonimo di un ricco e stravagante banchiere francese). La sua recitazione non è però all'altezza, visto che ha quasi sempre la stessa espressione. Gli attori chi mi hanno colpito di più sono stati invece i due vecchi servi del castello, molto bravi ed espressivi.
Non certo un grande film ma nonostante le circostanze Dreyer ci ha regalato di nuovo qualcosa che visivamente non si dimentica.