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WIDOWS: EREDITA' CRIMINALE regia di Steve McQueen

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Terry Malloy     8 / 10  22/11/2018 12:13:14Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
WIDOWS (ci sono spoiler, ma non gravi)
Sono andato a vedere il nuovo film di McQueen e l'ho trovato divertente, emozionante e interessante.
L'ho trovato inoltre un film (qui emerge il mio ingenuo tematismo) sulla fragilità del potere. C'è una scena abbastanza didascalica e francamente di cattivo gusto, ma che a mio parere è simbolica di quello di cui il film mi sembra che voglia parlare. Parlo di una scena in cui un ragazzo nero viene ammazzato da due poliziotti, in quanto colpevole di essere seduto su un Mercedes rosso fiammante. La scena è brutta e messa un po' a caso, il punto più debole di una sceneggiatura per il resto molto forte. Il ragazzo è figlio di un uomo politicamente preminente, ma che, nonostante questo, non riesce a difendere il suo ragazzo dalla violenza dei bassifondi, rappresentata dalla polizia di Chicago. Questo è un esempio perfetto di fragilità del potere. Puoi essere qualcuno a livello di "sporco gioco politico", ma non è detto che i Nessuno siano meno aggressivi e violenti e per questo pericolosi. Il poliziotto rappresenta una cellula minimale di potere, ma è un signor Nessuno rispetto al figlio di un grande politico. Il film mostra bene quanto fragili ed esposti possono essere i ricchi, i potenti. Non a caso ognuno di loro (il personaggio di Robert Duvall) cade nella trappola di sentirsi eccessivamente sicuri del proprio potere. Al contrario, le donne, le vedove di uomini forti e sicuri di loro stessi (due caratteristiche che sfociano nella violenza e nella mancanza di rispetto verso chiunque, persino appunto la propria moglie), con naturalezza riescono a far fronte alla sfida complessa che la vita mette loro davanti, ossia come mantenersi dopo una vita passata a essere mantenute.

La tesi del film è che il potere è un'illusione, è un gioco che ci siamo inventati e che non riguarda il nostro quotidiano, ma solo una messinscena (la scena del rap è clamorosa in quest'ottica, la migliore del film), una rappresentazione teatrale in cui entri per svariate ragioni: vinci un concorso pubblico, ti candidi perché sei il figlio di un politico importante (Colin Farrell), perché magari sei un idealista, perché vuoi sfuggire a un destino segnato (come il criminale interpretato da Brian Tyree Henry, avversario di Farrell).

"Widows" è un film che parla di politica a partire dalle motivazioni personali degli attori coinvolti. Non è un film particolarmente complesso, ma proprio qui sta la sua forza: è universale, e soprattutto non c'è nessuna traccia di psicologismo, o peggio di eroismo maledetto, non c'è nessuna figura letteraria. Ci sono uomini e soprattutto donne che si trovano schiacciate nel loro conflitto con la società, nella loro appartenenza a un sistema di valori occidentale che appiattisce le tue motivazioni interiori sul ruolo che ti è stato assegnato in partenza. La violenza diventa dunque farsa (il rap, la pista da bowling), il gangster è una figura sottoposta alle leggi del rischio come tutti, il cinema di genere (in questo caso il robbery movie, vecchio quanto il cinema americano stesso) non c'entra più nulla. Questo film è un condensato di antropologia politica, quindi chiunque vi cerchi una lezione di regia (come ai vecchi tempi di Hunger) o di stile (Shame), o anche solo la continuità di percorso di un grande "autore" del nostro tempo, cerca male. È un film che insegue la migliore televisione americana, ma lo fa sul grande schermo, una cosa che almeno a me fa sempre il suo porco effetto. Racconta una storia sul potere, e lo fa, a mio avviso, bene. Molti sono i momenti didascalici, o semplicemente incongrui, il finale è consolatorio, ma non incoerente: una volta sfuggite ai loro ruoli, ci sono due donne fisicamente e spiritualmente molto diverse che si trovano a vivere inaspettatamente la loro vita. La domanda che sorge spontanea allora è quella che ci facciamo tutti quando incontriamo l'Altro: "Come stai?".