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LA FORTEZZA NASCOSTA regia di Akira Kurosawa

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amterme63     7 / 10  24/04/2010 14:03:34Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
La classe non è acqua e se un regista profondamente conoscitore del proprio mestiere intende rilassarsi o divertirsi con qualche opera disimpegnata, in genere cerca lo stesso di imprimere il proprio marchio di qualità e di confenzionare un prodotto molto curato e di valore. Questa è una regola nei film di Kurosawa. In genere dirigeva sia film di cassetta per farsi conoscere e ottenere soldi, che opere molto serie ed impegnate per lasciare traccia nella storia dell’arte cinematografica. In ogni caso non considerava i propri film “disimpegnati” come film di serie B e anche in questi dedicava grande impegno realizzativo e approfondimento tematico. Sono pochi i film “tirati via” di Kurosawa.
Ed è proprio grazie alla grande cura tecnica che “La fortezza nascosta” riesce a superare i limiti che condannano quasi tutti i film di genere “disimpegnato”, cioè il fatto di essere dipendenti dai gusti particolari e dalle abitudini visive prevalenti in un certo periodo storico. Ci sono miriadi di film anni 50-60 che fecero grande successo di cassetta alla loro uscita e che adesso sono inguardabili o per lo meno incomprensibili, senza più l’effetto “piacere” che suscitavano all’epoca.
In “La fortezza nascosta” sono evidenti i caratteri stilistici del genere “avventura” che tanto piaceva a cavallo degli anni 50-60. In genere si situava la storia in un periodo storico del passato (al tempo in Italia furoreggiava l’Antichità classica). I protagonisti erano delle persone importanti o potenti, quasi sempre buone e magnanime, le quali incontravano sfortune e difficoltà spesso in situazioni pericolose o ambienti degradati, per poi ampiamente riscattarsi nel finale. Queste figure erano sempre aiutate da un uomo eccezionale, forte, intelligente, fedele, l’”eroe” del film. Per lo più alle figure “elevate” e serie si affiancavano dei personaggi di estrazione popolare, molto schietti, vivaci, con i tutti i difetti basilari attribuiti alla gente del popolo (paura, avidità, ignoranza). Facevano da contraltare comico alle vicende e davano un tocco di ironia e divertimento all’insieme. Frequenti erano infatti le scene folkloristiche, le scene comiche, come pure le scene di lotte, battaglie o duelli. Le peripezie erano per lo più molto avventurose e sostanzialmente inverosimili. Ma del resto tutto era stereotipato e superficiale e sembrava come fatto di cartone.
“La fortezza nascosta” ha esattamente questo schema, con un’importante variante: il realismo. I contadini, le persone serie stesse, non sembrano figure di cartone o stereotipi ma persone in carne ed ossa, che si comportano e parlano come tali. La scenografia (una montagna sassosa, frequenti panorami vallivi, boschi, fiumi) è come al solito molto suggestiva e insieme alla fatica e alle pene dei personaggi dà una forte sensazione di reale e vissuto. Le scene poi sono lunghe, curate, mai abbreviate o sintetiche. C’è una grande attenzione al particolare.
La scena del duello ad esempio è lunga ed estenuante; tra l’altro ha un significato cinematografico particolare perché contrappone Toshiro Mifune a Susumu Fujita, l’attore che lo ha preceduto come protagonista nei primi film di Kurosawa. Fa impressione vedere il grande interprete di Sugata Sanshiro diventato tozzo, tarchiato ed appesantito. Rimane comunque un attore molto bravo ed espressivo.
Per il resto tutto si svolge con le solite coincidenze, in ogni caso all’interno del verosimile (e non è poco in film del genere).
Rimane comunque il fatto che le figure dei contadini sono fin troppo “automatiche” nel loro comportamento e soffrono una certa stilizzazione (nei 7 Samurai erano trattate come figure complete e dignitose). Anche le persone elevate non si “abbassano” più di tanto e ci tengono a sentirsi separati dal resto, trattato in maniera sufficiente e paternalista.
Le musiche poi ci fanno sentire il film proprio come un prodotto del gusto dell’epoca.
In ogni caso una gradevole e piacevolissima visione. Vale la pena riscoprirlo.