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LES AMANTS REGULIERS regia di Philippe Garrel

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Invia una mail all'autore del commento logical     7 / 10  23/10/2005 02:46:18Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
"I film liberano la testa", dice Fassbinder ma bisogna aggiungere anche che i film creano un metabolismo a cui si può cedere o resistere. Se si resiste, ogni scena è lunga, indigesta, è la coda di una coda; se si cede, ci si sente a Parigi, tra i cuscini, l'oppio, i rumori, le ragazze ancora belle, gli amici idealisti, i lunghissimi pomeriggi dove comunque non c'è nulla da fare, nemmeno la rivoluzione. La faccia di Louis Garrel, il prezioso figlio del regista, ha ormai le stigmate della Nouvelle Vague sessantottina; prima con The Dreamers di Bertolucci (a cui spiegabilmente viene dedicata l'unica occhiata in camera del film) in cui è un viziato e inconcludente figlio di papà indeciso tra lo scendere o no in strada con le molotov tratte dalla cantina di famiglia, ed ora pure, sempre poco fortunato in amore e controllato con affetto dalla Polizia. Il suo naso, i suoi capelli, le sue camicie con la giacchina di velluto vengono direttamente dal guardaroba di Antoine Doinel ma trent'anni dopo la fotografia è cambiata e l'ombra e la luce dell'eroe romantico e poeta hanno un'intensità diversa. Le lunghe, lunghissime scene iniziali della guerriglia urbana hanno l'immobilità e la preziosità di un'illustrazione in rotocalco dove i neri sono illuminati da una fortissima luce radente che elimina i grigi segnando le figure o dissolvendosi nelle nuvole di polvere dei lacrimogeni o dei mortai. La carica della polizia ha l'intensità di un'incisione per come racconta la lucentezza degli scudi tondi e neri attorno alle nere divise opache. Ma cosa racconta, mi sono chiesto mentre i sottotitoli bianchi venivano inghiottiti dalle luci o dai camicioni rivoluzionari; direi del tempo che non passa nemmeno per chi lo ha già vissuto; pensare alla rivoluzione proprio come al trapasso da uno stato a un altro e nello stesso tempo sapere e vedere che non avviene, che ci si è vicini, "mai più così vicini" e consapevolmente vinti, anche se niente sarà più lo stesso, tutto avrà un altro nome e lentamente si cambierà in qualcos'altro. Che il tempo non passi è incredibile come "è incredibile la solitudine che è dentro un'uomo", come incredibile che lei, l'amata che promette amore eterno, se ne vada in America a seguire uno sculture "così bello fuori e dentro" che la voleva come modella. Ma l'amore mio non muore, e nel finale torna l'Ottocento, l'assenzio, lo svenimento, la dipartita tra altre camicie e lenzuola bianche come la luce. È un surplace struggente e lontano come un satellite da questa terra; il mondo aspetta uno scatto ma anche imbambolarsi nella luce e nel buio è una gran cosa.
gerardo  18/01/2006 19:14:56Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Condivido.
Invia una mail all'autore del commento kowalsky  01/10/2006 22:20:24Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Devo ripropormi di rivederlo da solo, nella mia stanza, e armato di predisposizione e volontà.
Mi spiace per Garrell, che come autore è molto interessante, e continuo a consigliare a tutti "sauvage innocence" .
Ottima la tua analisi critica come sempre