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I SOVVERSIVI regia di Paolo Taviani, Vittorio Taviani

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amterme63     6 / 10  21/02/2008 22:22:54Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Secondo me non è un film ben riuscito. Può ancora interessare come testimonianza di ideali politici e etici di un dato periodo, ma non molto di più. Si utilizza uno stile particolare che però non si fonde con il contenuto e quindi l’impressione che si ha guardando il film è di smarrimento, quasi di confusione. I personaggi e le storie hanno l’aspetto di essere “fittizi”, cioè creati appositamente per sostenere tesi o rappresentare posizioni; non sembra di avere a che fare con persone vere, vive o convincenti.
Non bisogna farsi ingannare dal titolo, i personaggi non sono certo sovversivi, o meglio lo sono solo di fronte all’ortodossia “comunista” del PCI dei primi anni ’60. Ecco allora tante figure non legate fra di loro, con le lore storie che si incrociano ma non s’incontrano mai. Seguendo un po’ la moda inaugurata dalla Nouvelle Vague, ai registi non interessa imbastire una storia, ma rappresentare la psiche, l’animo dei personaggi tramite scene anche banali, senza nessun nesso logico fra di loro che non sia l’esplicazione psicologica. L’unico leit-motiv comune alla varie storie è il funerale di Togliatti, che di per sé serve a creare simbolicamente lo sfondo ideale del film (la fine di un epoca nel PCI).
Tutte le figure implicate “sovvertono” un’idea base del partito. La moglie di un dirigente finalmente riesce ad accettare il suo essere lesbica, sfidando i pregiudizi e le rigidità morali che allora affliggevano anche il più grande partito della sinistra. Questa storia così scottante è però tirata via, trattata un po’ superficialmente. Risulta però l’”episodio” più interessante e “universale” del film.
C’è poi un militante venezuelano interpretato magnificamente da Giulio Brogi. E’ il personaggio più complesso del film. Lui vuole sovvertire la tendenza del partito ad adagiarsi nella routine politica, dimenticando la sua missione. Vuole perciò tornare in Venezuela per imprimere una svolta movimentista e rivoluzionaria al movimento. Allo stesso tempo, accanto a queste velleità più volute che sentite, c’è la sua tendenza a lasciarsi andare alla vita pacifica con gli amici e l’amata. Ne risulta un carattere contraddittorio, vivace, combattuto. Peccato che anche lui non venga approfondito adeguatamente. Resta comunque la recitazione partecipata e convinta di Brogi.
C’è poi un regista in preda a crisi di carattere esistenziale e esistenzialista, sia nella vita privata che nel suo lavoro artistico. Qui i Taviani vogliono far vedere che l’arte ormai ha preso la strada della descrizione dei problemi universali del singolo individuo, abbandonando l’idea del personaggio come rappresentante collettivo di una classe o di una categoria.
Infine c’è Ermanno interpretato da Lucio Dalla. Il personaggio dovrebbe rappresentare i “giovani”, con la loro fantasia, le loro incertezze, la loro voglia di nuovo “a prescindere”, il loro voler emanciparsi dalle istituzioni (la famiglia, le discipline di partito) dipendendo però materialmente e idealmente ancora da esse. Dalla, istrionico com’è, ci mette di suo e recita più se stesso che Ermanno, venendo fuori uno strano miscuglio poco comprensibile. Ne viene fuori soprattutto il suo sentirsi “bravo” e “bello”. Fa molta impressione vedere una specie di scimmione che si rimira allo specchio e che viene accarezzato dalla moglie vogliosamente. Forse fa parte del gioco. Dalla sovvertisce l’idea di bellezza. La bravura per fortuna l’ha dimostrata nella musica, perché al cinema veramente non aveva grandi chances.
Tutto sommato un film troppo spezzettato, poco approfondito e con interesse limitato.