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JOKER regia di Todd Phillips

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Terry Malloy     9 / 10  12/10/2019 15:33:27Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
SPOILER

Un film, o una qualsiasi opera di comunicazione, è definibile come "controverso" quando i discorsi che produce sono più importanti del discorso stesso. La ridda di interpretazioni, sovrainterpretazioni, sopra e sottovalutazioni, fraintendimenti, in generale quel complesso di turbamenti cognitivi che Joker ha prodotto sono interessanti quanto se non di più del film stesso. Quando sono uscito dal cinema mi è sembrato che l'opera di per sé non mi avesse detto nulla che già non sapessi, e per me questo è indice di chiarezza, mi era piaciuto, tanto direi, ma non mi aveva suscitato di certo alcun tipo di perplessità. Molte perplessità invece mi sono venute dopo il film, quando ho cominciato a leggere recensioni e status su Facebook al riguardo. Si potrebbe dire che in questo caso gli spettatori hanno costruito, più che ricostruito, il senso del film. Grazie a loro ho potuto quindi capire meglio perché mi fosse piaciuto, un effetto indesiderato, ma comunque utile.

In generale ho notato varie tendenze. Innanzitutto, la tendenza a trovare un punto di appoggio "autoriale" nella tradizione del cinema americano, quindi il riferimento dominante del film: Scorsese e in particolare Taxi Driver, un film che condivide con Joker l'ambientazione urbana onirica e la centralità assoluta del protagonista, un reduce del Vietnam, che soffre di stress post-traumatico. Questo è quanto avvenuto anche con un altro film che ha suscitato una miriade di discussioni alla sua uscita e in qualche modo una forte reazione sia negativa che positiva (due posizioni apparentemente inconciliabili) negli spettatori: La grande bellezza. Anche in quel caso si è subito fatto riferimento a un caposaldo del cinema italiano di un venerato maestro come Fellini, ossia La dolce vita. L'idea che il film di Sorrentino sia una scopiazzata di Fellini è ormai integrale al discorso critico che si fa sul film incentrato sulle vicende di Jep Gambardella, appena se ne parla spunta fuori il riferimento alla Dolce vita, come se fosse un dato acquisito.

Queste le critiche che mi è parso siano le più diffuse e che hanno generato il malcontento:

1) Il film non è scritto bene perché non rispetta una consequenzialità logica, alcune sequenze sono troppo veloci, altre non sono spiegate, altre sono di una lentezza esasperante. Il film non appare come realisticamente motivato, sembra tutto preparato per far fare a Joker quel salto da semplice povero pazzo a genio criminale che riesce a sollevare una sommossa epica nella città di Gotham;

2) Il film è però anche troppo "normale": pochi omicidi, tutti di innocenti ok, ma comunque di innocenti che in qualche modo se lo meritano per la loro antipatia, quindi il film è sproporzionato nella scelta degli obiettivi di Joker, ma al contempo la statura storica del villain richiederebbe più cattiveria, più follia, più megalomania, più genialità.

3) Il film dunque sembra legittimare una narrazione vittimista: quello che vediamo è il tentativo di giustificare la sequenza di omicidi sulla base di una critica un po' stereotipata alla società in riferimento al problema del disagio sociale.

4) Il villain di conseguenza non è un villain, non è un cattivo. Anzi è persino troppo buono (lascia andare ironicamente il nano, dopo averlo fatto letteralmente ****** addosso). Non sappiamo se ha ucciso la sua vicina di casa, ma sappiamo benissimo perché uccide chi uccide. Non c'è nulla di folle, la sua è sostanzialmente una vendetta su chi gli ha fatto del male: i tre signori della metro, la madre abusante, il collega che gli ha messo in mano la pistola e gli ha fatto perdere il lavoro, e per mano di un suo vicario ed emulo, il padre che lo ha abbandonato.

5) Il film è un cinecomic, e che cinecomic dato che Joker è uno dei personaggi più leggendari del fumetto americano, però non sembra molto diverso da un film che narra una semplice storia di violenza e disagio mentale, una storia peraltro un po' sempliciotta, perché avvalora la tesi che farsi giustizia da soli sia in fin dei conti se non giusto, quantomeno razionale. Il film dunque non è "supereroistico".

Tutto questo è sostanzialmente vero. Ma come accade spesso per le opere controverse, faccio fatica a capire comunque il punto di queste (anche giuste) osservazioni. Cosa doveva essere il film? Cosa doveva raccontare? A una pars destruens non corrisponde quasi mai una pars construens. Questo perché l'idea di fare un film del genere, che sfrutta un'icona ancora molto forte del cinema americano e viva nelle coscienze di tutti, ma ribaltandone completamente i presupposti narrativi, fa scattare una pugnace reazione di delusione cognitiva in chi si aspettava una versione di Joker che già aveva in testa: per chi si è letto i fumetti, il villain del fumetto, per chi è affezionato alle precedenti versioni del Joker al cinema, a quelle (penso in particolare all'ultimo in cronologia, il grandioso Joker di Ledger). Non trovando nulla di tutto ciò nel Joker di Philips, si è andati a cercare un riferimento nel cinema che più di tutti ha lavorato sugli anti-eroi maledetti e nevrotici, sugli uomini perduti nella giungla d'asfalto, ovvero il cinema di Scorsese e compari, analogamente a quando non si è capita la Roma decadente di Sorrentino e la si è cercata nel suo antecedente immediato e più comprensibile, quella di Fellini e Mastroianni.

Per me questo è già qualcosa di eccezionale per un film: siamo saturati di opere e quando vediamo qualcosa il giorno dopo ce ne siamo già dimenticati. I film degli ultimi anni potranno anche non mancare di bellezza, ma di sicuro mancano di forza comunicativa, di controversia nel messaggio. Film che sembravano destinati a rimanere, non ci ricordiamo neanche che sono usciti. Il Joker di Philips è un film che ci ha turbato, ma lo ha fatto in modo diverso da quanto lo stesso personaggio Joker ci aveva abituato. Se Joker deve ingenerare caos nel tessuto sociale, e Batman di solito arriva a metterci una pezza (una pezza che ovviamente si gioca sul piano delle argomentazioni e non di certo dell'azione, basti vedere il finale del Cavaliere Oscuro), già il caos delle interpretazioni che ne è seguito è un buon segnale. Rispondo quindi alle critiche, facendo l'avvocato del diavolo (un critico non dovrebbe mai essere un avvocato, ma a volte la differenza è labile)

1) Il film è un sogno. Sì, ci sono dei momenti narrativi, ma è chiaro che non stiamo assistendo alla storia di Joker, ma alla storia che lui stesso si sta narrando. A che scopo infatti inserire tutte quelle scene sul divano, in cui fantastica su momenti di eccezionale, straziante dolcezza e rimpianto: la ragazza che gli gratta la schiena mentre è disperato per il collasso della madre, Murray che gli dice "vorrei un figlio come te". Questo film è una lunga fantasia di un uomo alle soglie di un crollo devastante.

2) Cosa è più realistico? Un processo mentale che trasforma un povero pazzo in un criminale, o un pazzo criminale nato dal nulla che si diverte a tormentare una città con discorsi profondi sulla natura umana e sul senso del vivere seguendo le regole? Se il grande pregio storico dell'ambientazione di Gotham è che il male è sempre endogeno alla città, e sbuca dal nulla, Philips racconta questa dinamica sospendendo l'alone di mistero che caratterizza il nostro sapere intorno al personaggio e andando a riflettere non tanto sulle cause sociologiche (sempliciotte, anche se poi neanche tanto lontane dal vero), ma su come il personaggio le processa nella sua testa, arrivando a una risposta tanto istintiva e immediata, quanto per noi inaccettabile. Solo che a differenza degli altri cinecomic sul Joker, stavolta non c'è Batman a fare da risarcimento retorico e a spiegare qual è l'alternativa alla sfida lanciata da Joker, e se il personaggio-Batman deve in qualche modo comparire per rispettare l'eredità del fumetto, Philips è intelligente nel disarmarlo modificando i piani temporali: nel momento in cui Joker nasce, Bruce Wayne esiste ma è impotente, è un in-fante, non parla e non reagisce.

3) Se il Joker si concepisce vittima di una società cattiva e priva di empatia, non è questa la tesi sostenuta dal regista. I casi sono due: o i film li facciamo scrivere ai filosofi, oppure li facciamo scrivere ai personaggi. Non essendo Joker né Michel Foucault né Robert Nozick, la sua risposta alla vita di ***** che fa è una risposta semplice e banale, ma perfettamente logica. E poi un film è un film, non è Delitto e castigo, non ha i tempi sospesi della letteratura in cui in 50 pagine ci possiamo permettere di analizzare ogni singolo momento psicologico che presiede alla nascita di un killer. Quando vi ripetiamo che le serie tv sono meglio del cinema, intendiamo questo. Fanno meglio una cosa sola epperò fondamentale, che è spiegare le ragioni dei personaggi: c'è un motivo se Breaking Bad dopo tipo 10 anni è ancora la serie più citata e amata probabilmente di sempre. Il tempo che ci mette a trasformare un piccolo professore di provincia in un imperatore del narcotraffico ci permette di accettare questa cosa con naturalezza. In due ore hai il tempo che hai. Devi lavorare su un materiale diverso, devi essere fine, condensare una filosofia in un minutaggio ristretto che inevitabilmente farà storcere il naso a chi è abituato a volere tutto spiegato (tanto che poi il film ci costringe ad assistere a uno spiegone bruttino nel finale).

4) Se Joker ci ricorda qualcuno è perché giustamente prima o poi chiunque si è sentito come lui. Frustrato, dimenticato, impossibilitato, traumatizzato. Siamo tutti potenziali criminali? Sì e no. Che la vita sia una ***** e che gli altri siano tutti ******* è una verità incontrovertibile dell'esperienza e del senso comune con cui chiunque deve fare i conti. Joker lo scrive: "Il problema della malattia mentale è che tutti pretendono che ti comporti come se non ce l'avessi". Potremmo fare questo discorso per qualsiasi nostra debolezza, ci sono centinaia di meme tutti uguali sul fatto che quando stai male la gente ti dice "cerca di non prendertela, non arrabbiarti, fattela scivolare addosso, usala come una corazza", frasi fatte, pacche sulle spalle, ma vuota retorica minimizzante. Joker reagisce rabbiosamente contro una società che minimizza i suoi problemi, e che talvolta li bullizza, lo bullizzano tre ******* nella metro, come lo fa un potente uomo di spettacolo che ha finito il materiale e deve riempire un palinsesto (non è la stessa cosa che fa X-Factor quando ci fa accettare che sul palco si esibiscano dei fenomeni da baraccone palesemente afflitti da patologie mentali assortite?). Il problema è che non riusciamo a gestire questa debolezza che hanno gli altri, come non sappiamo gestire la nostra. Questo è un film sulla teoria della mente, come capacità di immedesimazione in qualcosa che esuli dalle nostre strutture sociali (appartenenza di gruppo, parentela, dominanza sociale), nel diverso, in chi per traumi passati o per una fragilità congenita (determinata sì, anche dalla diseguaglianza economica) è uscito dal gruppo di chi ce la fa. Certo che sta interamente a noi che risposta dare alla nostra inadeguatezza, la risposta di Joker è quella di chi per una volta è riuscito a prevalere invece che prenderle, quindi per lui uccidere è esattamente lo speculare realistico del far ridere: tutto quello che vuole è seminare gioia e ottenere un effetto umoristico sull'interlocutore, tutto quello che sa fare che gli restituisca quella sensazione è uccidere, prevalere.

5) Se di film con questo pattern narrativo è pieno il mondo, allora si spiega come mai usare il Joker. Certo che è una trovata di marketing (geniale, comunque). Un ennesimo history of violence così sarebbe giustamente passato inosservato. Diverso è se al centro metti una delle figure più iconiche del Novecento. Vedremo se un analogo destino toccherà anche a Batman, inaugurando una nuova stagione dei supereroi, in cui ai muscoli e alle mazzate si sostituiscono la complessità psicologica e quella preoccupante vicinanza agli aspetti più oscuri della nostra motivazione interiore che la reazione a questo film suggerisce come principalmente fatti oggetto di rimozione.